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Vangelo di domenica 14 Agosto PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 13 agosto 2011 16:53

ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 15,21-28. - Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele».  Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». «E' vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».  Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.

XX Domenica del Tempo Ordinario

14 Agosto 2011

Prima di tutto uomini

Introduzione

                La Parola di questa XX Domenica del tempo ordinario ci chiama a riflettere su un problema attualissimo: il rapporto con “quelli di fuori”,  ovvero gli “stranieri”, popoli lontani, o gruppi intorno a noi, avvertiti come diversi e distanti per cultura, lingua, tradizioni, colore della pelle e fede religiosa.

                Spesso questo comune sentire nei confronti degli “stranieri” ha generato, e genera, intolleranza e ostilità, al punto da dimenticare che tutti indistintamente apparteniamo alla razza umana, abitiamo lo stesso pianeta e camminiamo sotto la stessa volta celeste. Ma, soprattutto, tutti siamo stati generati dalla stessa scintilla divina.Basta questo per capire che la distinzione fra razze è frutto delle peggiori idee partorite da mente umana che nel corso della storia, fino ai giorni nostri, hanno alimentato, e alimentano,  guerre, atti di violenza gratuita, ghettizzazioni, pulizie etniche, forme varie di autodifesa sfociate nel più gretto e prepotente egoismo.

Tutto ciò rende particolarmente significativo il racconto evangelico del miracolo di Gesù in terra pagana, nei confronti di  madre Cananea, nei confronti cioè di una donna “straniera”, indegna per il popolo d’Israele.

Infatti, l’episodio evangelico di questa domenica è un invito a scandalizzarsi e indignarsi di fronte ai proclami di certi uomini politici che considerano diversi e inferiori la metà parte dei loro stessi connazionali; è ancora un invito a scandalizzarsi e indignarsi di fronte alle azioni e alle parole di chi  pur considerandosi civile, viola il diritto alla dignità di essere umano.

Ed è, soprattutto, un invito rivolto a noi cristiani a non chiudere più gli occhi e le orecchie di fronte al grido di dolore di chi è meno fortunato, ma, assumendo lo stesso atteggiamento del Maestro, accogliere chi subisce la condizione di “straniero” in una terra per giunta a lui ostile.

 Stranieri della terra  

                Commettiamo l’errore di pensare che non siamo tra quelli che si definiscono “stranieri”, eppure se ci pensiamo bene, anche noi cristiani viviamo la stessa condizione: siamo cioè forestieri rispetto alla terra. Non possiamo, infatti, dirci differenti né per voce, né per costumi dagli altri uomini, eppure viviamo nella nostra patria da forestieri; partecipiamo a tutto come cittadini e da tutto siamo distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria nostra, e ogni patria è straniera. Queste sono parole che dovrebbero farci riflettere, scritte da un anonimo nei primissimi anni del cristianesimo e indirizzate ad un certo Diogneto. Esse sono un compendio sull’identità del cristiano, una identità di forestiero, cioè di uomo che non appartiene alla terra che abita, ma ne è ospite, che vive secondo gli usi e i costumi di quella terra, ma conserva la propria identità di cittadino del cielo. Quanti problemi ha procurato alle prime comunità cristiane questa condizione: intolleranze, violenze, persecuzioni, eppure ci si ostinava ad essere della categoria degli “stranieri”, perché più forte del senso di appartenenza ad una patria, era il desiderio di sentirsi cittadini liberi e amati, eredi del Regno di Dio.

                Quindi per molto tempo la parola “straniero” c’è stata cara e familiare, avvolta anche da quell’alone di sacralità che è propria della cultura mediterranea e orientale. Infatti, presso i greci e gli ebrei l’ospite “straniero”, anche il più miserevole, era accolto con ogni onore, perché nessuno poteva capire chi poteva nascondersi dietro quelle spoglie: poteva capitare infatti che ad essere accolto fosse una divinità o un angelo di Dio.

                Come siamo lontani oggi da queste convinzioni e tradizioni. Tutto si è capovolto: siamo egoisticamente legati alla nostra patria, al nostro modo di vivere, alle nostre tradizioni, alla nostra lingua, cultura, fede religiosa da rischiare ogni giorno di chiuderci in atteggiamenti di autodifesa che impediscono il dialogo, l’accoglienza di chi percepiamo come “straniero”. Ci rifiutiamo di capire le ragioni di chi consideriamo diversi da noi, e, trincerati entro i nostri dorati confini naturali e mentali, precludiamo la strada alle ricchezze della diversità per paura di perdere qualcosa.

                Il Maestro, nel racconto di Matteo,  sembra farci  vedere  nella donna Cananea, una pagana, una “straniera”, indegna dell’attenzione di Dio. Ma l’insistenza della donna, il suo atteggiamento di prostrazione, il suo grido di dolore e la sua supplica, sussurrano al cuore di Dio la verità su una fede che non conosce confini di patria o di religione: ed è in quel momento che Gesù  vede  e ci fa vedere una donna degna della misericordia del Dio di Israele.

                Noi conosciamo già la bontà di Dio, ma la grande fede della donna Cananea ci ha reso un’idea ancora più grande della Sua bontà, in particolare del Suo voler essere il Dio di tutti. Egli non fa questioni di burocrazia, va al cuore di ogni uomo: ovunque vi sia dolore, lì c’è tutto il Suo amore e la Sua pietà. La cosa non può lasciarci indifferenti, anzi interpella la parte più intima della nostra umanità, il nostro modo di pensare e di agire. Di fatto ci fa capire che di fronte all’altro, di fronte allo “straniero”, non possiamo permetterci di amministrare la nostra pietà secondo le regole della prudenza, o meglio del sospetto, che noi spacciamo come regole del buon senso.

                Ma quanto accade in Tiro, fra Gesù e la donna Cananea, apre anche a noi il cuore ad una grande speranza: nel giorno del  bisogno, rivolgendo con tutto il nostro essere la supplica di aiuto a Dio, Dio non ci abbandonerà. Potremmo sempre contare almeno sulle “briciole” della Sua pietà.

                C’è una verità che travalica tutti i giudizi degli uomini: davanti a Dio conterà solo il nostro cuore umile ed orante che si rivolge a Dio che ci sarà accanto a sostenere la nostra speranza. Nella sua infinita misericordia Egli si muoverà a contare ad una ad una le nostre lacrime, trasformandoci da figli di uomini in figli Suoi.

                Tutto questo però non è privilegio e prerogativa di pochi, perché il Dio in cui crediamo è Dio dell’umanità intera e la Sua salvezza non conosce confini di stato, o coordinate precise e limitate, la Sua è salvezza universale.              

La ricchezza degli altri

                Dunque, la salvezza non conosce confini razziali o spaziali o culturali, essa passa attraverso la coscienza di ogni uomo, la sua libertà e la sua fede. In queste condizioni si misura l’uguaglianza fra gli uomini davanti a Dio, il quale non ha dei privilegiati, ma chiede a tutti la risposta di fede, di figli riconoscenti e fratelli solidali.

                Per Dio non esiste un’anagrafe religiosa, non vi sono liste di credi giusti e meno giusti: esistono gli uomini che hanno fede in Lui. Certo, riconosciamo che può assumere nomi diversi, l’importante, per creare comunione fra noi e sentirci così fratelli nell’amore dell’unico Padre è riconoscere che i semi della Sua divina Presenza sono disseminati ovunque e aspettano di fiorire e portare frutto.

                E il frutto matura quando ci apriamo alla ricchezza che l’altro diverso da noi potrà offrirci. In questo Gesù è stato più che maestro:  ha accolto il pianto  divenuto preghiera  della donna Cananea: “…anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola”. Se Gesù ha colto la verità di una pagana, perché noi ci ostiniamo nella reticenza dei nostri pregiudizi?

Noi, che ci troviamo con molte zone del nostro mondo interiore non ancora evangelizzate, perché non dovremmo prestare attenzione alle tante voci che, pur arrivando da orizzonti lontane, potrebbero arricchire la nostra coscienza di apertura e di slanci a noi ancora sconosciuti?

Possono essere persone che praticano una religione diversa, o vivono ai margini della Chiesa, oppure dicono di aver abbandonato ogni discorso su Dio. Ai nostri occhi non sono per nulla abilitati a darci lezioni di fede e di cristianesimo, eppure anch’esse possono aiutarci a scoprire qualcosa o molto del Vangelo, per esempio sui problemi della pace, della giustizia sociale, del superamento delle frontiere, dell’accoglienza dello straniero, della tolleranza e della solidarietà trai popoli.

                Già in questa prima apertura si compie il grande miracolo dell’universalismo della salvezza.

Conclusioni

                A conclusione di queste poche briciole di riflessione, desidero interpellare la saggezza del nostro fratello maggiore, il popolo d’Israele, che erroneamente a quanto si pensa, non era chiuso agli stranieri, anzi Dio stesso lo investì per prima di una missione universale: farlo conoscere tra le genti come unico, vero Dio.

                In Levitico 19,34 c’è scritto: “Lo straniero che dimora tra voi lo tratterete come colui che è nato tra di voi. Tu l’amerai come te stesso”. Grande lezione di tolleranza e schiaffo morale senza paragoni a quanti trattano gli stranieri come “cani” da scacciare e non fratelli dello stesso unico Padre.

                Su questa terra siamo tutti stranieri, tutti forestieri: solo adottando questa prospettiva potremmo vivere in pace, interiorizzare il messaggio evangelico e camminare operando bene verso la Patria divina.

 

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

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