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Vangelo di domenica 26 giugno PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 25 giugno 2011 18:33
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,51-58. - Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». (Segue il commento di mons. Bertolone e l'Omelia letta durante la Solenne Celebrazione seguita alla Processione  del Corpus Domini in Catanzaro)

Corpus Domini

26 Giugno 2011

Introduzione

                Domenica scorsa, la Liturgia della festa della Trinità, e la sua collocazione nell’anno liturgico ci invitava a considerare il nesso profondo che lega il mistero della Trinità a quello dell’incarnazione: nesso perché l’incarnazione è espansione nel mondo della comunione di Dio con il Figlio e, dalla Pentecoste, con lo Spirito Santo.

                Oggi con la festa del Corpus Domini, festa dell’Eucarestia, siamo invitati a considerare lo stesso nesso tra il mistero eucaristico e l’incarnazione. In altri termini, l’Eucarestia trova spiegazione nell’incarnazione, poiché come l’incarnazione continua la generazione del Verbo di Dio dal Padre, così l’Eucarestia  perpetua nel tempo la presenza di Dio in Cristo nel mondo. Non solo, tutta l’incarnazione è racchiusa nell’Eucarestia. Infatti, l’Eucarestia è memoriale di tutta la vita di Cristo, della sua esistenza accanto al Padre, nella storia d’Israele, della sua esistenza terrena culminata nella sua passione e morte, della sua resurrezione, della sua attuale intercessione per noi presso il Padre, della sua venuta finale nella gloria.

                Quale meraviglioso mistero è questo? racchiusa in una piccola briciola di pane è tutta la storia della salvezza quella che è stata, è e sarà. Sì, perché Cristo è in eterno pane del sacrificio, offertosi in dono al Padre per ottenere la salvezza dell’uomo; pane di comunione, che si lascia mangiare per renderci partecipi della sua morte e resurrezione; pane vivo disceso dal cielo per essere presenza attiva nell’anima dell’uomo e del mondo.

                Dunque, il pane che oggi celebriamo non è comune: diventa, nelle mani del sacerdote e per azione dello Spirito Santo, pane di salvezza, di comunione e di vita. Presenza di Dio che continua a incarnarsi per stare accanto all’uomo.

 

Sacrificio, comunione e presenza

 

                L’annuncio eucaristico è davvero il grande mistero della fede e dell’amore. È mistero dell’amore perché ci chiama a conoscere, amare e assimilare la vita di Gesù.

Tutta l’incarnazione, infatti, dal principio alla fine, dal Natale al Calvario, alla Resurrezione è tutta nell’Eucarestia. Essa è sintesi della rivelazione e culmine della condiscendenza con cui la Trinità si è comunicata agli uomini.

                Il pane eucaristico è di fatto il pane dell’offerta sacrificale, non a caso noi usiamo il termine ostia per identificarlo. E ostia significa “vittima”. E Cristo è la “vittima”  eucaristica: Egli ogni giorno, in tutte le Chiese, continua a immolare se stesso sull’altare. È nell’Eucarestia che il Figlio di Dio, “ogni giorno si umilia”; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sopra l’altare nelle mani del sacerdote. L’Eucarestia è, in sintesi, il mistero d’amore che rinnova e attualizza il sacrificio di Cristo contemplato e celebrato dalla Chiesa nel Triduo Pasquale.

                Un sacrificio d’amore funzionale alla comunione con il Padre e con i fratelli. Il sacrificio di Cristo, infatti, è atto di comunione, è azione che riappacifica l’uomo a Dio e l’uomo con l’uomo. A ricordarci questa dimensione comunionale dell’Eucarestia è Paolo: “Il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è solo un pane, noi pur essendo molti, siamo un corpo solo”. In altre parole, attraverso il pane eucaristico, noi entriamo in comunione con il Padre e il Figlio e tra di noi.

                Ma l’Eucarestia è anche, e soprattutto, presenza. Gesù morto e risorto si fa presente a noi precisamente nell’atto della sua morte in croce e facendosi presente si comunica a noi, ci fa vivere la partecipazione alla sua vita. È la presenza che fonda il suo donarsi in sacrificio al Padre e il suo comunicarsi a noi. Allora, in questa festa del Corpo e del Sangue di Cristo si tratta di ricordare, innanzitutto, che Egli è presente per noi, e la sua presenza  è finalizzata a farci vivere della nostra sorgente:l’ Eucarestia. È per mezzo di Cristo, infatti, che Dio ha creato la luce, le acque, la terra e il vento; è sempre per mezzo di Lui che ha dato vita, con soffio divino, ad un grumo di fango perché diventasse persona.

                Dunque, nutrirsi al banchetto eucaristico è attingere direttamente alla sorgente della nostra esistenza. Così quei verbi ripetuti quasi con monotonia – mangiare, bere – sono prima di tutto il linguaggio della liturgia del vivere, di una Eucaristia esistenziale, della comunione totale con Cristo. Scriveva san Giovanni Crisostomo: “Nella comunione il cuore assorbe il Signore e il Signore assorbe il cuore, così i due diventano una cosa sola”. Questo è il solo miracolo che dobbiamo chiedere con insistenza.

 

I segni di una vita eucaristica

 

                Un livello simile di comunione ci porta a dire, con san Leone Magno, che l’effetto dell’Eucarestia è di farci diventare ciò che mangiamo. Una affermazione questa che potrebbe confondersi con le parole del filosofo materialista Fauerbach: “ L’uomo è ciò che mangia”. Ma non è così. In realtà, la concezione cristiana è molto diversa: non siamo noi che assimiliamo quel Pane a noi, è Cristo che assimila noi a sé. Nell’Eucarestia è Dio in cerca della fame e della sete dell’uomo; è Cristo fame d’altro per chi è sazio di pane; è Lui che vive donandosi a noi, che viviamo di pane e miracolo.

                Infatti, noi mangiamo e beviamo il corpo e il sangue di Cristo, quando assimiliamo il nocciolo vivo e appassionato della Suo essere e ci innestiamo nel tronco che è il Suo modo di vivere.

Possiamo avere qualche segno che questo miracolo avvenga?

I segni sono tanti. Segni rivelatori della vita di Cristo in noi, segni che l’Eucarestia è viva e attiva. Essa lo è quando, per esempio, desta in noi il fervore della gratitudine, perché sappiamo vedere tutto nel segno della benedizione.

“Padre ti ringrazio” diceva spesso Gesù. Anche noi dovremmo vivere nella disposizione gioiosa di chi ama riconsegnare e affidare tutto al Padre e ripeterci alla fine di ogni giornata ciò che Ignazio di Loyola amava dire al termine dei sui Esercizi Spirituali: “Dio mio ti rendo tutto”.

Un altro segno della pienezza del dono eucaristico in noi è il germinare non di un amore qualunque ma di un amore – quello stesso di Cristo – generoso, gratuito, totale, fino al sacrificio. Se si riceve la comunione, ci si accorge di voler amare di più e di recuperare nel proprio amore anche le situazioni difficili, quelle che forse prima si giudicavano impossibili. E si avverte il bisogno di lavorare per creare quella fraternità che nasce dalla condivisione dell’unico pane.

C’è anche un altro segno.

Noi entriamo in pienezza nella pienezza dell’Eucarestia quando sentiamo nascere in noi l’attesa di un mondo nuovo promesso. Beati noi se viviamo ogni eucaristia come una sosta di gente nomade, come una tappa ristoratrice del nostro esodo. Qui nel tabernacolo troviamo il cibo per la nostra fame e troviamo la fame di qualcosa di più grande, di ultimo, di definitivo.

A questo ci conduce l’Eucarestia, dove il sublime confina con il quotidiano, l’infinito con il perimetro fragile del pane e del vino, là Dio è vicino a noi che temiamo la solitudine e il dolore. Se solo lo accogliamo, troveremo il segreto della vita: che è la nostra dimora in Dio e Dio è dimora in noi. E sarà il consumarsi di una Eucaristia perenne e perfetta.

 

Conclusione

 

                Non voglio terminare queste poche briciole di riflessioni senza richiamare la pia devozione della processione che oggi ogni Chiesa farà per le vie delle rispettive città. E lo faccio prendendo in prestito le parole di papa Paolo VI, che più di ogni altra spiegazione rendono efficacemente il senso di ciò che ci prestiamo a vivere come credenti in questa solennità del Corpo e Sangue di Cristo: “Quale può essere oggi il nostro voto per la nostra Città, e per tutta la “Città di Dio”, che è nel mondo, se non quello che questo mistero di fede e questo mistero d’amore, - perché tale è il Sacramento dell’Eucarestia - , irradi fede ed amore in tutta la convivenza umana e sociale? Questo desiderio di irradiazione è così vivo, in questa festività, nella Chiesa, che essa porta fuori dalla sua casa, il Tempio riservato al culto e al silenzio, il Sacramento adorabile, il suo Gesù vivente e velato nel segno del Pane di vita, simbolo e realtà del sacrificio redentore, affinché tutti lo sappiano, tutti lo vedano questo segno di misteriosa presenza, che accompagna la Chiesa nel cammino della sua storia, ed affinché il mondo, anche quello profano, si accorga che Cristo gli è vicino, ed ha pure per lui, se esso lo vuole, un effusione di bontà, una offerta di speranza”.

                Non mi resta che augurarvi di rinnovare con fervore questo rito antico,  questo pellegrinaggio adorante, magari d’altri tempi, ma così necessario per questi tempi tanto affamati e assetati , di silenzio, di raccoglimento, di amore e verità.  

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

Image (nella foto mons. Bertolone durante la processione del Corpus Domini a Catanzaro, al suo fianco il sempre vigile don Francesco Candia e alle sue spalle ilneo-sindaco di Catanzaro, Traversa)

Omelia per la solennità del Corpus Domini

Duomo, 26 giugno 2011

Cari fratelli e sorelle,

                      la festività odierna ci consegna un messaggio, semplice ma essenziale: se davvero vogliamo crescere nell’amore, sosteniamoci con l’Eucaristia, simbolo tangibile di Gesù, il Risorto, il Vivente, il Veniente.

Chiediamoci: qual è il significato proprio del Corpo e Sangue di Cristo? Ce lo dice la celebrazione che stiamo compiendo, nello svolgimento dei suoi gesti fondamentali: prima di tutto ci siamo radunati intorno all’altare del Signore, per stare insieme alla Sua presenza; in secondo luogo, la processione, cioè il camminare con il Signore; e infine l’inginocchiarsi davanti a Lui, l’adorazione, che inizia già nella Messa e accompagna tutta la processione, ma culmina nel momento finale della benedizione eucaristica.

Soffermiamoci brevemente su questi tre momenti. La processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia, questo mirabile sacramento e segno di comunione fraterna, ci vuole liberare da ogni abbattimento e sconforto, perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo. Noi portiamo il Signore che si è fatto carne,  divenuto pane nelle strade delle nostre città. Queste strade devono diventare le Sue strade. Le Sue sacre specie custodite  nei tabernacoli che noi riceviamo  debbono  incidere nella  vita di ogni giorno, nelle strade appunto dove  camminiamo, ci incontriamo, ci sentiamo e  dove  viviamo.

Il Corpus Domini ci mostra che cosa significa fare la comunione: accoglierLo, riceverLo con la totalità del nostro essere. Non si può mangiare il corpo del Signore come si mangia un pezzo di pane: lo si può ricevere solo se ci si apre a Lui.

Adorare il suo Corpo, poi, vuole esprimere  la nostra convinzione che nell’ostia, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi di amore, di verità, di pace e di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci condanna, ma ci libera, ci perdona e ci trasforma.

Gli Apostoli, incontrandoLo sul lago, dopo la Pasqua, ebbero l’impressione di vedere un fantasma. Anche a noi può capitare di avere la vista annebbiata e di cogliere l’Eucaristia come un appuntamento simbolico, rituale. Essa è invece la Presenza di Colui che è per noi, con noi, sino alla fine del tempo e dentro la nostra vicenda umana. Una Presenza reale, viva, salvante, adunante.

Stasera non abbiamo scelto noi con chi incontrarci: siamo venuti e ci troviamo gli uni accanto agli altri, accomunati dalla fede e chiamati a diventare un unico corpo condividendo l’unico Pane che è Cristo. Siamo uniti, al di là delle nostre differenze di professione, di ceto sociale, di idee politiche: ci apriamo gli uni agli altri per diventare una cosa sola a partire da Lui.

Questa, fin dagli inizi, è stata una caratteristica del cristianesimo, realizzata visibilmente intorno all'Eucaristia. Il Corpus Domini ci rammenta, allora,  che essere cristiani vuoi dire radunarsi da ogni parte per stare alla presenza dell’unico Signore e diventare una sola cosa con Lui e in Lui. È lo strumento che fa diventare le nostre comunità delle cittadelle di speranza costruite ai margini della disperazione, antidoto contro l’individualismo e la solitudine di molti nostri fratelli.

Mediante il gesto dello spezzare il pane, Cristo dona se stesso, offrendo una testimonianza, uno stile, un modo di essere che sostiene tutto l’insegnamento che viene dalla vita buona del Vangelo. La sua tenerezza diviene sprone per vincere la superficialità delle relazioni a cui ci ha abituati una società sempre più superficiale  che è talmente  distratta da molte cose da dimenticare alla fine l’unica cosa veramente importante : Cristo che è il fuoco annunciato dai profeti e la dolce brezza dell’amore.

Ecco perché  la festa di oggi andrebbe vissuta all’insegna della provocazione: renderci conto che Cristo ci chiama ad essere uomini e donne eucaristici, davvero affamati di vita nuova, capaci di inginocchiare prima di tutto il cuore davanti a quel pane e a quel vino che professiamo ed essere presenza concreta di Cristo. Persone per cui l’incontro con Cristo non è più relegato all’ultimo posto degli impegni settimanali, ma al primo. Niente deve essere amato quanto Dio, niente come Dio.

Spesso ciò che manca nelle nostre Chiese, nelle nostre preghiere, è il coinvolgimento: chi pensa più all’incruento sacrificio che si sta compiendo da duemila anni sull’altare? Chi si accosta affamato al banchetto eucaristico? Chi pronuncia tremante “Amen” di fronte all’ostia bianca che sta per ricevere come un bacio di Dio sulle proprie labbra?

L’aridità non sia padrona del nostro cuore: la preghiera sia fervida ed intensa, l’abitudine non muova i nostri passi, ma la ricerca ci stimoli ad una preghiera costante, fervida e sincera, attraverso la riscoperta della Parola, «spada a doppio taglio, viva, efficace, tagliente, scrutatrice dei sentimenti e dei pensieri del cuore» (Ebrei, 4, 12) e perciò adatta, come osservava  Blaise Pascal, «a consolare ed intimorire tutte le condizioni».

È compagna di viaggio nella quotidianità, stimolo ad amar Dio e gli uomini, a bramare sempre più il regno della giustizia, ad aborrire l’iniquità, perdonando gli iniqui. Per lasciarsene afferrare basta  il cuore aperto. Per questo occorre prestare l’orecchio «alla Sacra Scrittura» (Dei Verbum, 22), l’approccio alla quale, sottolineava il filosofo Sören Kirkegaard, «deve essere caloroso, non solo esegetico o teologico: come un innamorato legge una lettera dell'amata, così va letta la Scrittura».

È compito dei sacerdoti, in particolare, fare in modo che il Verbo penetri realmente nella vita della Chiesa, ovvero di ciascuno di noi, perché corra  per le strade della contemporaneità, che oggi sono anche quelle della comunicazione informatica, televisiva e virtuale. Deve entrare nelle famiglie, perché sia per loro lampada che rischiara il cammino dell’esistenza (Sal. 119, 105). Deve riconquistare spazio nelle scuole e negli ambiti culturali, di cui per secoli è stata riferimento certo, perché la sua ricchezza salvifica, poetica e narrativa la rende un emblema  di bellezza in un mondo in cui di bellezza se ne vede e se ne sente sempre meno, ed i cui segreti rappresentano chiave d’accesso, dal momento che, come ebbe a dire lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, essa è «città dove ogni finestra è un quartiere, ogni porta un villaggio, ogni riga una strada».

Occorre  ritrovare le antiche vie quelle che  portano  all’Eucaristia  che per chi  la riceve nel proprio cuore  è come  un bacio di Cristo  sulle nostre labbra, la sorgente della santità, il segreto dell’apostolato e della evangelizzazione, foriera di una trasformazione mirabile. Nell’Eucaristia, il “vecchio uomo” (Col 3,9-10) muore, partecipa alla sepoltura di Cristo Signore mentre l’uomo nuovo risorge, prendendo parte alla Risurrezione.

In questo mirabile sacramento  noi stessi impariamo l’amore di Cristo, invito alla conversione, pane che unisce, richiamo alla concordia universale. È l’esortazione a non separare la mensa dell'Amore offerto e la mensa della sofferenza umana; è il richiamo a superare le disuguaglianze, perché il Pane di Dio è il pane per tutti. Ed in questo momento abbiamo il dovere di ricordare la crisi del pane per tante famiglie, la mancanza cioè di lavoro, di giustizia, a volte anche di speranza. L’invito che vi rivolgo è quello di impegnarvi a vivere l’Eucaristia in ogni momento della giornata, facendovi pane spezzato agli altri. È attingendo alla forza dell’Eucaristia, scriveva La Pira, che la nostra società può divenire «specchio temporale di quella fraternità soprannaturale e di quella paternità divina che sono il limite ideale e come la stella orientatrice, della società cristiana». Sottolineava dal canto suo il beato Giovanni Paolo II: «L’Eucarestia spinge ad una generosa azione evangelizzatrice e ad un impegno fattivo nell'edificazione di una società più equa e fraterna». Per questo Gesù è morto: “ per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”( Gv 11,52).

Seguendo questi insegnamenti, saremo   testimoni di speranza e operatori di pace in questa nostra società stanca e sofferente; diventeremo  pane spezzato per gli altri, cioè persone capaci di gesti di totale gratuità, disponibili al servizio, che non aspettano ricompense, ma si lanciano con la forza della fede tenace, sapendo di non cadere nel vuoto, ma di volare in alto, sostenuti dal Sacramento Eucaristico.

Carissimi fedeli, avvertiamo  la gioia di essere il sale dell’umanità, sale che si scioglie e si immerge nell’umanità, soprattutto in quella più  dolente, più povera, più disprezzata.

“Quale può essere oggi il nostro voto per la nostra Città, e per tutta la “Città di Dio”, che è nel mondo, se non quello che questo mistero di fede e questo mistero d’amore, - perché tale è il Sacramento dell’Eucarestia - , irradi fede ed amore in tutta la convivenza umana e sociale? Questo desiderio di irradiazione è così vivo, in questa festività, nella Chiesa, che essa porta fuori dalla sua casa, il Tempio riservato al culto e al silenzio, il Sacramento adorabile, il suo Gesù vivente e velato nel segno del Pane di vita, simbolo e realtà del sacrificio redentore, affinché tutti lo sappiano, tutti lo vedano questo segno di misteriosa presenza, che accompagna la Chiesa nel cammino della sua storia, ed affinché il mondo, anche quello profano, si accorga che Cristo gli è vicino, ed ha pure per lui, se esso lo vuole, un effusione di bontà, una offerta di speranza”.

Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci ha riempito di gioia. Facendo nostro l’atteggiamento adorante di Maria, preghiamo per noi e per tutti; preghiamo per ogni persona, perché possa conoscere Te, o Padre, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo, e così avere la vita in abbondanza.

Gesù Eucaristia, entra nei nostri cuori. Benedicici e facci eucaristia per i poveri. Amen.                                                                         

+ Vincenzo vescovo

 

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