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Dice lei (poesia) PDF Stampa E-mail
Scritto da M.Miani   
lunedì, 06 giugno 2011 07:55
ImageLa nostra vita, fin dalla nascita, è segnata da un avvenimento che non sappiamo quando, come e dove avverrà, è sospeso sopra le nostre teste, sappiamo che ineluttabilmente prima o poi arriverà, eppure ce ne dimentichiamo, ce ne ricordiamo spesso solo quando capita a qualcuno dei nostri amici o parenti, e quando giungerà probabilmente saremo anche impreparati. Parliamo, come avrete già intuito, della morte. Nell’immaginario popolare è stata dipinta sempre a tinte fosche, nero mantello dal quale s’intravede un teschio ghignante e due braccia scheletriche che impugnano una falce, per incutere paura e rispetto, così non dovrebbe essere,  mi piace invece immaginare il momento del distacco come una partenza verso una dimensione, dove si continuerà ad esistere in modo diverso. Una vera e propria partenza che prelude ad un arrivo, così come tanti emigranti hanno fatto quando partivano per un mondo che non conoscevano e non sapevano se sarebbero mai più tornati, La differenza sta proprio in questo, con la morte noi sappiamo che non torneremo più nel mondo che lasciamo. Michele Miani ci offre una bella poesia sul tema, leggetela vi farà sorridere pensandoci.

Dice lei

 

Ho iniziato il mio lavoro

con le mani di Caino sul fratello Abele.

Da allora, per millenni,

da genitori a figli,

serviti ho sempre tutti,

nessuno scontentando.

Segnatamente ho preso,

senza preclusione alcuna,

in modo continuo, ed a mio arbitrio,

con arti varie,

or questo, or quello, or l’uno ,or l’altro.

Certo ho mutato i ferri del mestiere,

ma, da mai, ho perso il mio lavoro.

Con guerre, carestie, pestilenze,

colera, febbre, e malattie strane,

in uno con i tempi, ho lavorato

cercando spunti e nuovi ritrovati,

per essere all’altezza del compito affidatomi.

I casi d’assassinii, omicidi ben acconci,

suicidi elaborati sempre mi hanno appagata.

Prendendo a prestito idee, cose e mezzi,

che ben servire all’opera potevano.

Oggi i tempi son mutati,

febbri, pestilenze, malaria

ed altre consorterie son sparite.

Con aids, tumori, glicemia e alchimie vecchie,

affinando la tecnica, comunque fò prodigi.

C’è chi predica l’eutanasia celeste,

la morte dolce amara,

di certo non mi tocca,

ché il principio resta valido.

Il lavoro, in ogni modo, resta duraturo.

S’illudono, giocando sul nome del trapasso.

Scambiando, tra medici e medicine

miracoli, e grazie ricevute,

errando sui tempi dell’andata,

che io, da molto, ho già fissato

segnando a mio dileggio i nomi,

l’anno, il giorno e l’ora.

 

Dice lei, da secoli son di casa

che fai ora, non mi conosci?....

Son quella della falce.

Quella che il campo ha livellato,

da erbe verde, teneri germogli,

da secchi arbusti senza frutti.

Sconti, non ne ho fatto.

E niuno, mai m’ha pagato.

Non faccio vanto o falsa modestia,

ma errori, mai io feci.

Ne ritardi o amnesie ho avuto mai.

 

Or su, ho già parlato troppo,

mi riconosci? Sono io,... la morte.

Non puoi frenare il tempo,

alzati, cammina... Ho fretta.

 

                                                                              Michele Miani

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