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Vangelo di domenica 6 marzo PDF Stampa E-mail
Scritto da administrator   
sabato, 05 marzo 2011 07:38
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 7,21-27 - Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.  Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.  Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande». (Segue commento di mons. Bertolone, vescovo di Cassano Ionio)

IX Domenica del Tempo Ordinario

6 Marzo 2011

 

Tirando le somme

Introduzione

                Con il Vangelo di oggi, IX Domenica del Tempo Ordinario, si conclude il lungo Discorso della Montagna che ci ha accompagnati nelle ultime domeniche. È la conclusione di una tappa nel cammino di conoscenza di Gesù e dei suoi insegnamenti, che cinque domeniche fa abbiamo aperto con la proclamazione delle Beatitudini, la “carta costituzionale” del Regno dei Cieli. Poi siamo passati alla spiegazione del ruolo dei cristiani nella società che  Gesù  diceva  essere sale della terra e luce del mondo. Quindi, siamo arrivati a parlare di comportamenti cristiani, ispirati alla carità fraterna e spinti oltre la Legge antica: Avete udito che fu detto agli antichi…, ma io vi dico …”.

                Oggi Gesù ci racconta la parabola dei due costruttori di case, che nell’ascoltare e mettere, o non mettere in pratica potrebbe suonare alle nostre orecchie così: “Ora sappiamo come ci si deve comportare, rimbocchiamoci le maniche e diamoci da fare”. In un certo senso siamo arrivati alla “filosofia” dell’ “amo dunque sono” e del “credo dunque sono”. Ma soprattutto passeremo dall’ottica del conoscere alla speranza di essere riconosciuti.

È il “dunque” della vita cristiana: sono così e agisco così perché amo e credo. È il “dunque” della vita futura in Cristo: ho conosciuto e dunque sarò riconosciuto.

                Si tratta semplicemente di scegliere. Scegliere se dare sostanza ad espressioni e parole come “fare la volontà del Padre”, essere coerenti, conoscere, e infine credere, sperare, amare e vivere.

                Ma prima di scegliere, bisogna prendere coscienza di tutto ciò e, quindi, dare mente, cuore e mani a tutte queste parole ed espressioni, che nella parabola di Gesù diventano roccia o sabbia, uomo saggio o uomo stolto, casa che  crolla o  resta in piedi.

                Oggi possiamo pure ascoltare gli insegnamenti del Maestro, ma poi siamo noi a scegliere se metterli in pratica, se porli nel cuore e nell’anima (Prima Lettura) per tradurli in pratica di vita. Sta a noi scegliere se lasciare che Dio stesso ogni giorno “ci faccia” (Seconda Lettura) o lasciare che ci facciamo da noi stessi. Sta infine a noi scegliere se coltivare la difficile arte della coerenza o abbandonarsi all’incoerenza .

                Ma ameremo e crederemo davvero, se ascoltando decideremo di lasciarci formare dall’insegnamento del Maestro e, di conseguenza, agiremo. È il metodo della vita cristiana: l’amen della quotidianità, garanzia di una vita in armonia con se stessa e, dunque, “divinamente” riuscita.

L’Uomo saggio

                I due  personaggi nella parabola di Gesù corrispondono a due diverse categorie: di uomini: l’uomo saggio e l’uomo stolto. Il primo saggiamente, assicura la stabilità della propria casa ponendone le fondamenta sulla roccia; il secondo invece scioccamente rende la sua casa instabile perché  la poggia sulla sabbia.

Al di là della concretezza reale della metafora c’è la verità dell’insegnamento, dal quale scopriamo  che la casa  sta per  l’esistenza dell’uomo; la roccia è  la volontà di Dio e, dunque, Cristo stesso; la sabbia,  tutto ciò che di illusorio è dentro e fuori di noi e perciò motivo di instabilità nelle relazioni, nei sentimenti, nella vita stessa.

Mettendo insieme questi elementi possiamo capire  con chiarezza che cosa vuole  dire il Maestro.

                Innanzitutto, dobbiamo chiederci a quale categoria di uomini apparteniamo: se ai saggi che costruiscono sulla roccia o  agli stolti che edificano sulla sabbia. In altri termini,  siamo credenti a parole o nei fatti? Siamo coerenti con il  Vangelo o sappiamo solo parlare di  e sul Vangelo; conosciamo la verità e la amiamo o la conosciamo e la evitiamo? Insomma, siamo costruttori del Regno o suoi distruttori ?

                Poche regole di ingegneria civile per essere costruttori saggi della nostra vita. Innanzitutto scegliere la roccia per  le  basi  della  vita, affinché essa possa resistere a tutti i colpi avversi che inevitabilmente arriveranno. E Gesù ci dice che questa roccia è la volontà del Padre, ma anche la Sua parola, Egli stesso. E non può essere diversamente giacché dopo l’Incarnazione questa volontà, questa roccia, si è fatta carne, si è materializzata in Cristo, il cui nutrimento è stato sempre fare la volontà del Padre.

                Allora costruire sulla roccia significa costruire la propria vita su Gesù, sulla sua parola, sulla sua persona. Così uomo saggio è chi conosce bene quale sia il fondamento sicuro sul quale edificare, con la fede, tutta l’ esistenza. E chi conosce, crede che l’unico fondamento stabile per raggiungere l’equilibrio nella precarietà del mondo, ma anche nella complessa contraddittorietà della propria umanità, è riporre il cuore nella volontà di Dio, ovvero in Cristo, attaccandosi a Lui interamente.

Ora questo atto di abbandono fiducioso non richiede uno sforzo disumano, anzi umanissimo, giacché fare la volontà di Dio per l’uomo significa raggiungere le proprie origini, identificarsi con ciò che possiede di migliore; significa restare sempre aperti all’azione di un amore onnipotente, che lavora nei cuori finché  è capace di lasciare le  tracce in ogni  azione.

                Da questo atto di abbandono scaturisce anche  la coerenza di vita, che si manifesta nell’identificarci  con questa volontà di solo amore infinito, i cui frutti sono gli  stessi dello Spirito: “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza” (Gal 5,22), tutti riflessi della presenza di Dio nella nostra  vita.

                L’uomo saggio è il credente che, innamorato di Cristo, decide di costruire sulla roccia l’edificio della propria vita, ponendo a fondamento del proprio agire la  legge  dell’amore. Non così l’uomo stolto che, indifferente all’amore di Cristo, decide di edificare sulla sabbia del proprio io, facendosi soffocare dalle tante cose che ha messo a fondamenta del proprio agire. Il suo sarà un futuro di precarietà, prigioniero della paura che d’improvviso tutto possa crollare lasciandoci sul lastrico. È un vivere male, un vivere attingendo alla parte peggiore di noi: a quella parte che agisce per egoismo, per odio, per vendetta; a quella parte che spinge a correre dietro una pallida illusione di equilibrio.

La saggezza della fede

                È più saggio, a questo punto, cambiare  la precarietà della sabbia con la  stabilità della roccia. Ma ciò sarà possibile solo  conquistando la saggezza  del cuore e della fede, cioè  saper  credere.  È interessante notare che  in ebraico “credere” è sempre associato al senso di stabilità, tipo unione, attaccamento, adesione, come se si trattasse di mettere sempre il piede su un terreno sicuro. A questo proposito c’è un testo molto significativo di Isaia: “Se voi non credete, non sarete stabili” (7,9).

         Ma credere è anche conoscere e, nel linguaggio biblico, la conoscenza non è solo un fatto teorico e mentale, ma è incontro totale, evoca la liturgia dell’amore e dice condivisione, comunione, generazione. Così conosce la fede non chi impara una dottrina alternativa alle altre dottrine, ma chi impara e mette in pratica una relazione radicalmente diversa con la propria e l’altrui vita, con il mondo e la normalità della quotidianità. Una relazione che si compiace di conoscere Cristo in ogni momento della giornata, cioè si compiace di creare una comunione di comportamenti con Lui. Il principio da seguire per raggiungere questo grado di conoscenza è  quello biblico dell’ “imitatio Dei”, l’imitazione di Dio.

                 Quando avremo raggiunto questa perfezione  passeremo dalla conoscenza di Cristo all’essere riconosciuti dal Padre come figli. Mi piacerebbe pensare che alle soglie dell’eterno l’Amore (DIO) , cercando in noi qualcosa in cui specchiarci, trovando un riflesso di sé dicesse: “Ti conosco”. Anzi, se insieme dicessimo: “Sì ci conosciamo, come Padre e come figlio; come sorgente e goccia che scorre, come sole e raggio”.               

Conclusione

                La conclusione naturale di questa breve riflessione è nell’espressione finale del brano evangelico: mettere o non mettere in pratica. Tutto quanto detto finora, infatti, ci orienta alla coerenza. Se amiamo, crediamo e conosciamo, e quindi  ascoltiamo, mettiamo in pratica.

Così ci  diciamo veramente cristiani solo se dalla domenica iniziamo la Messa della quotidianità; solo se poniamo a fondamento di tutto la roccia dell’Eucarestia, dalla quale attingiamo  la forza e la grazia per realizzare la liturgia della vita.

Serena domenica

mons Bertolone
Mons.Vincenzo Bertolone
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