Diversamente abile |
Scritto da M.Miani | |
giovedì, 03 febbraio 2011 16:08 | |
Questa poesia che vi propongo ha una certa attualità legata al problema sempre vivo delle persone diversamente abili e per il parlare che se ne fa oggi. Ho conosciuto molte persone che in famiglia hanno figli con questi deficit, e, ho vissuto da ragazzo, con compagni i quali, non avevano problematiche down, ma che erano diversamente abili, per le ferite lasciate loro dalla guerra. Con loro sono stato anni e, non ho trovato difficoltà, a convivere la diversità che avevano: senza braccia, senza gambe, senza mani, ciechi: si viveva insieme, si faceva fronte unico per alleggerire le difficoltà, che avevano, spesso chi era nel pieno possesso delle proprie autonomie, si portava sulle proprie spalle, coloro che non potevano muoversi autonomamente; si aiutava, chi era senza braccia o senza mani, nei piccoli servizi quotidiani. Devo dire che non avevo nè io, nè gli altri amici, problemi morali, o riflessivi data la differente condizione, forse perché ragazzo e ai tempi si rifletteva poco su certi temi. Ho vissuto accanto anche a down, nella mia età più matura (come progettista di strutture per ospizi, Piccolo Cottolengo "don Orione che li accoglieva e che ancora oggi li accoglie). Spesso, sono stato preso, da qualcosa che mi attanagliava il cuore, per le condizioni particolari di questi ragazzi, giovanotti ed anche adulti, e per i temi, che quello stato portavano a galla: il senso della vita; l’utilità di quelle sofferenze; la fortunata mia vita, rispetto alla loro deficienza; il perchè della loro mutilazione, mentre io potevo godere tranquillamente il tempo che passava; tanti altri interrogativi, quale, per esempio, la loro vita al momento del trapasso dei genitori, i quali nella loro gioventù si abbracciano la croce, e, soffrono quotidianamente appresso a questi poveri figli malati.
Diversamente abile
Sono all’interno, nella casa, via Donnalbina 14. mia,… da quando decenne vi entrai piangendo.
Nel cortile, sotto il portico mi aspetta lui: Pietro. Volto da ragazzo simpatico, i capelli neri ricciuti, occhi scuri profondi a volte anche vispi, un stazza pesante sopra gli ottanta, spesso per questa lo chiamo Pietrone.
Una corsa. A stento riesco a fermarlo spingendo il mio corpo sul suo. Mi abbraccia mi stringe assetato d’affetto. mi preme, forte mi serra non lascia la presa. Mi bacia sul viso, mi morde le guance, aspetta un mio sorriso in contraccambio del suo.
Accetta un mio bacio mentre parlando in ritornello ripete “vuoi bene a me ?” “vuoi bene a me ?“. Non vuole risposta. Di subito domanda “e tieni i soldi ?” “e tieni i soldi ?”. Riprendendo “voglio o’ canotto” “voglio o’ canotto”.
Passano due minuti soffocanti, affettuosi. Sorride felice quasi cosciente. Sorrido turbato dalla mia diversità. In cuore ringrazio di un simile atto innocente, d’amore che mi distacca dai pensieri oppressivi del giorno.
A volte però mi colpisce forte nell’animo dicendo distratto “voglio morì” e ripete “voglio morì” e poi tace. Non capisco se parla da inconscio, cosciente o se scherza sull’arcano mistero che attanaglia l’umano da sempre con la paura del passo nel buio.
Io, mentre il cuore va in aritmia crescente, taccio non trovando parole all’affermazione domanda lontana dalla mia fortuna o dal caso che mi ha voluto normale animale privilegiato. Michele Miani
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