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vangelo di Domenica 21 Novembre PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
giovedì, 18 novembre 2010 14:47
Gesù e il ladrone
Gesù e il buon ladrone
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 23,35-43 - Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».  (segue commento di mons. Bertolone)

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario

21 novembre 2010

 

Cristo Re dell’Universo

 

Introduzione

 

                Siamo giunti alla fine di quest’anno liturgico, durante il quale Luca ci ha guidato attraverso le pagine del suo vangelo ad approfondire la meditazione su Gesù, la sua figura e la sua missione.

                In quest’ultima domenica del tempo ordinario, la XXXIV, ci aspettavamo la consacrazione finale del protagonista e, di fatto, oggi celebriamo la solennità di Cristo Re dell’Universo istituito l’11 dicembre 1925 da S.S. Pio XI. Ma i festeggiamenti e la consacrazione dell’ “eroe” svelano un contenuto diverso rispetto al titolo regale.

Infatti, oggi non si contempla il volto glorioso del Cristo sovrano, aureolato di oro e di luce, acclamato e osannato dagli uomini; oggi contempliamo un volto striato di sangue e provato da una indicibile sofferenza, oltraggiato e deriso, esposto alle grida di carnefici impietosi e rigato da lacrime di amaro sapore umano.

                È la sconcertante figura di un sovrano martire, di un Dio che piange e implora, di un Signore povero e umiliato, di un re che condivide la vita e il destino di ladri e di schiavi.

E se nell’inno paolino, i Colossesi sono invitati a celebrare la gloria a Dio attraverso la regalità di Gesù, per il quale tutte le cose sono state create e riconciliate, per cui Egli è re di tutte le potenze del cielo e della terra, nel brano del Vangelo siamo invitati a ricercare il tesoro della regalità di Cristo nel luogo più inadatto, ovvero nel piccolo spazio di una croce; e il Re che ci troviamo a celebrare è appena Signore di quel pezzo di legno e di terra che basta per morire.

                Siamo forse di fronte ad una contraddizione in termini? a due opposte visioni che tradiscono l’unità della Parola? No, di certo. I contenuti della Parola sono fra loro complementari: la gloria di Dio quale Re dell’Universo passa attraverso la croce di Cristo, che è l’abisso dove Dio diviene l’amante in assoluto,Colui che si dona per amore dell’uomo.

Si tratta, dunque, di capire il vero senso di questa festa, si tratta di guardare in profondità, con gli occhi del cuore, ciò che non è immediatamente visibile.

Un trono di legno

                In che consiste la regalità di Cristo? In qual senso Cristo è Re dell’universo?

Nella pagina del vangelo di Luca scopriamo un fatto sconvolgente: nel momento della Passione, nel momento della derisione, nel momento in cui Dio ci appare in difficoltà, proprio in questo momento Egli è re.

Un re sconfitto, senza corona e senza scettro, appeso nudo a una croce sulla quale è appeso il cartello con la motivazione della condanna: “re” dei Giudei! Un re senza trionfo e potenza, osteggiato, additato, sfigurato, piagato, arreso, sconfitto. Un re che contraddice il nostro modo di vedere secondo la regola del “salvare se stessi”.

                Insomma, umanamente parlando questa regalità crocifissa ci indigna per il suo fallimento, ci scandalizza perché non ha nulla di vincente. Secondo il criterio di Dio, però, è qui sul trono di legno che inizia il trionfo, e il Re segna la massima vittoria dell’amore e della carità.

Proprio la Croce è il vertice conclusivo che raccoglie e annoda in sé tutti i fili della storia e dell’universo; è l’omega” che compendia le lettere dell’alfabeto dell’essere, tutte le parole e le azioni del Cristo. La Croce diventa così la massima espressione dell’amore fedele, quello del Figlio per il Padre e del Padre per l’uomo; diventa, inoltre, l’espressione della vera potenza regale, che fa della sua autorità non un motivo di dominio ma di servizio; e diventa l’espressione di una forza invincibile, che si misura non sulla fisicità o la quantità ma sulla capacità del perdono e del dono.

                Ed è, infine, proprio sul trono della croce che si accende la nostra speranza. Contemplare, infatti, il Cristo crocifisso quale Re significa restituirgli l’ultima parola sulla storia universale e sulla storia personale di ciascuno. In altri termini, riconoscere Cristo crocifisso quale re significa non arrendersi all’evidenza della sconfitta di Dio e dell’uomo; significa credere che l’uomo non ha altro posto in cui riposare se non tra le braccia amabili e grandi di Dio Padre.

Infine, dire che Cristo crocefisso è re, significa riconoscergli la regalità del nostro cuore, alla cui intelligenza e al cui sguardo si apre tutta la profondità e la verità di un Dio che per amore si è consegnato alla morte non per esserne sconfitto ma per vincere per sempre.

 

Un linguaggio minuto

 

                Per parlare di questa verità d’amore regale non occorrono proclami trionfalistici. Quando si esibiscono trionfi, si sbandierano territori conquistati, si pretende visibilità esteriore non si annuncia la verità sulla regalità di Cristo. La regalità di Cristo ha bisogno di un linguaggio minuto, semplice, povero, come povero è stato il trono che lo ha accolto, due pali di legno incrociati; come stretto è lo spazio sul quale esercita il suo potere: il cuore dell’uomo.

Come anche minuti sono i simboli che rappresentano la consistenza del suo Regno: un seme, l’azione del lievito, un granello di senape e piccoli grani di sale. Tutte immagini quasi insignificanti, nascoste, per dire che il Regno di Cristo progredisce nella modestia, nel silenzio, nelle oppressioni, nel disprezzo, nella fedeltà nascosta, nell’insignificanza, nel minuscolo e invisibile territorio che è il cuore umano.

                Un cuore che, nonostante le sue profonde lacerazioni, è capace di sussurrare ancora di fronte allo spettacolo infinito dell’amore donato: “Ricordati di me !”. Ovvero, è capace di scrutare, oltre la croce, una speranza nuova, che segna l’inizio di una storia diversa, di un altro modo possibile di essere uomo, di un mondo finalmente pacificato e giusto, la cui sola legge è l’amore e il perdono.

                E se ancora il dubbio dovesse albergare nel nostro cuore, basterà continuare a fissare il Cristo Crocifisso, Dio nascosto che distrugge i nemici con la sofferenza, e confonde la potenza del mondo con l’impotenza della sconfitta, e la gloria con la debolezza, che nella umiliazione e nella sofferenza cela una vittoria ben più duratura di ogni vittoria umana. Bisogna fissare lo sguardo su quel Figlio d’Uomo innalzato, tenendo ben in mente quanto Egli stesso avesse esaltato la croce: “Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 13,31).

Dicevo, basta fissare lo sguardo su quel Volto per avere la certezza dell’amore del Padre, per capire come il Padre si sia adoperato per salvare i figli.

                La Croce, allora, è motivo per noi di grande speranza perché ci dice che Dio non è estraneo al suo popolo e all’umanità, ma vi entra come Signore in un modo del tutto nuovo, non più dispotico  e vendicativo, ma infinitamente amabile [amante]: in essa si realizza l’offerta di amore del Figlio e risplende la misericordia del Padre.

Di fronte a questo meraviglioso capovolgimento, la stessa evidenza del reale, per quanto amara possa essere, impallidisce; il male, per quanto crudele possa presentarsi, s’indebolisce; e il mondo che crediamo appartenga a chi lo possiede, si rivela, invece, essere nelle mani di chi lo migliora.

                Non chiediamo a Gesù di “salvare se stesso” e di scendere dalla croce, piuttosto invochiamo per noi un amore simile al suo per qualità. In altri termini, chiediamo per noi il dono di un amore che muore ostinatamente amando, che si preoccupa di chi gli sta accanto, e si dimentichi di sé.

Solo questa silenziosa ostinazione potrà volgere la cronaca amara dei nostri giorni in storia finalmente sacra.        

 

Conclusione

 

                Questa festa non celebra la morte ma la vita, non l’odio ma l’amore, non la vendetta ma il perdono, non la sconfitta ma la vittoria. Ma, soprattutto, celebra il compimento del disegno del Padre e l’inizio per noi di una nuova storia, di una nuova possibilità di essere uomini: “Il sacrificio di Gesù realizza l’eterno disegno del Padre: unire l’umanità alla divinità, vivificare, deificare le profondità dell’uomo, dell’universo e dell’essere. Di modo che noi non siamo più soli, mai più esclusi o perduti: al di là dell’ignominia o della disperazione apparentemente senza via d’uscita, Cristo ci attende nel silenzio del suo amore” (O.Clément). Una misteriosa “passione d’amore” con cui Dio Padre, donando suo Figlio, si dona.

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

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