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Vangelo della domenica delle Palme PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
venerdì, 26 marzo 2010 22:44
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 22,14-71.23,1-56. -    Quando fu l'ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio».  E preso un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e distribuitelo tra voi,  poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio». Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi». «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola.  Il Figlio dell'uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell'uomo dal quale è tradito!». 

Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.  Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori.  Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.  Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove;  e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno e siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.  Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano;  ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli».  E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte».  Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».  Poi disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né bisaccia, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla».  Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una.  Perché vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra i malfattori. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine».  Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli rispose «Basta!».  Uscito se ne andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono.  Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione».  Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava:  «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo.  In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra.  Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza.  E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».  Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo.  Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?».  Allora quelli che eran con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?».  E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l'orecchio destro.  Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate, basta così!». E toccandogli l'orecchio, lo guarì.  Poi Gesù disse a coloro che gli eran venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante?  Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l'impero delle tenebre».  Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano.  Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro.  Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui».  Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro!». Ma Pietro rispose: «No, non lo sono!».  Passata circa un'ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui; è anche lui un Galileo».  Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò.  Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte».  E, uscito, pianse amaramente.  Frattanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano e lo percuotevano,
lo bendavano e gli dicevano: «Indovina: chi ti ha colpito?».  E molti altri insulti dicevano contro di lui.  Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i sommi sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al sinedrio e gli dissero:  «Se tu sei il Cristo, diccelo». Gesù rispose: «Anche se ve lo dico, non mi crederete;  se vi interrogo, non mi risponderete.
Ma da questo momento starà il Figlio dell'uomo seduto alla destra della potenza di Dio».  Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono».
Risposero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato  e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re».  Pilato lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici».
Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: «Non trovo nessuna colpa in quest'uomo».  Ma essi insistevano: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui».  Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme.
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui.  Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla.  C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza.  Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato.  In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro. Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo,  disse: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate;  e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte.  Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò».  Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».  Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.  Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù.  Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!».  Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò».  Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.  Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita.  Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.  Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.
Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.  Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.  Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.  Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci!  Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».  Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.
Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.  Gesù diceva: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.  Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto».  Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano:  «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso».  C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.  Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».  Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?
Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».  E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».  Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo.  Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo spirò.  Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: «Veramente quest'uomo era giusto».  Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto.  Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.  C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta.  Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio.  Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.  Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto.  Era il giorno della parascève e gia splendevano le luci del sabato.  Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù,  poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.

Commento di mons. Bertolone

 

Domenica delle Palme

28 marzo 2010

 

Dall’”Osanna” al “Crucifige”

 

Introduzione

 

                Secondo una frase celebre, i Vangeli sono “narrazioni della passione con una estesa introduzione” (M. Kabler). Considerazione questa che trova conferma nel contenuto delle prime prediche degli apostoli incentrate proprio sull’annuncio della passione, morte e resurrezione di Cristo.

Dunque, il mistero Pasquale è stato al centro del primo annuncio apostolico, il cosiddetto kerygma. E proprio a partire da oggi, domenica delle Palme, entriamo nel vivo del kerygma primitivo, ovvero nell’arco della settimana, che inizia appunto da oggi, in cui partecipiamo al mistero pasquale. Per tale ragione affermiamo che questa è la settimana più importante dell’anno liturgico: è la Settimana Santa. In essa rivivremo tutti i momenti cruciali dello scorcio di vita di Gesù e della storia della nostra salvezza.

                Infatti, se da un lato la passione e la morte di Cristo sono compimento della Sua missione terrena, dall’altra sono gli strumenti necessari per la redenzione dell’umanità, azione indispensabile perché dal cielo, squarciato per il dolore del Figlio, il Padre potesse far piovere sulla terra “quella manciata di rose che noi uomini  chiamiamo cristianesimo” (A. Merini).

                Il palcoscenico sul quale si svolge lo spettacolo della crocifissione di Gesù, Figlio di Dio, è Gerusalemme.

La tragedia si svolge in più momenti, la cui successione stordisce per il contrasto stridente del loro contenuto: dapprima l’ “osanna”, l’accoglienza trionfale di Gesù nel suo ingresso in città,  poi il grido impietoso del “crucifige” con il contributo di insulti e di percosse che accompagnano il re sconfitto e umiliato lungo la salita del Golgota.

                Che cosa succede alla folla? Prima “osanna” colui che aveva acclamato “re”, messia, e poi lo consegna alla morte? E che succede a questo Re, a questo Figlio di Dio? È in balia della volubilità degli uomini. Infatti, non reagisce, non manifesta la sua onnipotenza: accetta e accoglie il giubilo festante dell’ “osanna”, ma accetta e accoglie anche il grido terrificante del “crucifige”.

In realtà si tratta della stessa folla e dello stesso Figlio di Dio: la prima coerente con la propria natura incostante, ondivaga tra amore e odio, accoglienza e rifiuto; il Secondo altrettanto coerente con la propria natura costante, fermamente radicata nell’obbedienza alla volontà d’amore e perdono del Padre.

 

 

L’ “osanna

 

                Questa difficile settimana a Gerusalemme inizia con l’inno trionfante ed esultante dell’ “osanna”: la voce della folla in giubilo accompagna l’ingresso di Gesù nella città. Un ingresso trionfale che in realtà è trionfo passeggero: un barlume di riconoscimento messianico destinato ben presto a dissolversi.

Per convocare quella folla “festaiola” Gesù non ha fatto nulla: si è autoconvocata, spontaneamente. Ma del resto accogliere un re è un atto dovuto che non costa nulla. E, poi, per quanto possa essere un re contestato, tuttavia insieme con altri si ha il coraggio di fargli festa e di urlare a gran voce: “osanna al figlio di Davide”.

                Ma questo trionfo iniziale è solo il prologo di un altro trionfo, amaro “sì”, ma autenticamente coerente al Figlio di Dio e, certamente, durante quel trionfo si farà la vera conta dei presenti. Infatti, lungo il calvario non c’è la folla di prima: molti ora sono schierati dalla parte del Sinedrio. Si è più sicuri nel coro, anche se il canto può variare. Solo una parte è rimasta fedele fino in fondo all’ultimo atto dell’avventura straordinaria di Gesù: l’epilogo sconcertante della croce.

                In questa avventura non è più questione di essere presenti, ma di compromettersi, di decidersi; è questione di lasciarsi avvolgere da quell’atmosfera di giubilo nonostante il rifiuto palese dell’uomo. È questione di non fuggire davanti all’apparente disfatta del Re; è questione di continuare a seguirLo anche se al posto di mantelli e fronde la via sarà coperta del suo sangue e, invece di rami di ulivo, all’orizzonte si staglia l’ombra desolante della croce. L’osanna è rivolto a questo Re che va accolto a partire da domani, non da oggi! Si deve accogliere quando inizierà la Sua passione: non può essere diversamente. Il dio che dichiariamo di amare è un dio differente: tanto innamorato della sua creatura da partecipare fino infondo al suo “essere” creatura, ovvero da soffrire e morire come lei e per lei.

Egli, infatti, volendo partecipare alla vita dell’uomo, non solo si fa uomo, ma dell’uomo vuole e deve conoscere anche il dolore e persino la morte, perché dolore e morte caratterizzano l’umano.

Dio sale dunque sulla croce perché vuole essere con noi e come noi, ma soprattutto perché noi possiamo essere con Lui e come Lui. Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all’uomo che è in croce.

Allora la croce non è mistero di morte, ma mistero d’amore: è il modo scelto da Dio per manifestare il suo amore per l’uomo. Del resto, quale innamorato non desidera essere del tutto simile all’amato? Quanto più si ama tanto più si desidera partecipare alla vita dell’altro, penetrare nel suo mistero per conoscerlo, capirlo, seguirlo.

Dunque solo la croce toglie ogni dubbio sull’amore di Dio per l’uomo: essa è l’abisso nel quale Dio si fa “amante”.

                Così le braccia distese di Gesù sul legno breve della croce sono un abbraccio al quale non si può né fuggire né resistere: esse ci parlano di accoglienza che non esclude, porte dell’Eden spalancate per sempre, cuore dilatato d’Uomo che si perde e si confonde nel cuore di Dio. Ed è proprio in questo meraviglioso scambio fra il cuore del Figlio dell’Uomo e quello di Dio che si compie il destino di ogni uomo: l’uomo rinasce a vita nuova dall’amore dilatato del suo creatore.

Allora che venga dopo l’ “osanna” il grido del “crucifige”.

 

Crucifige

 

                Quando pensavamo di aver capito tutto di questo Dio, tutto è stato rimesso in discussione. Il grido di giubilo dell’ “osanna” sembrava aver concluso trionfalmente la missione di Gesù: rivelare il volto misericordioso del Padre. Ma, evidentemente, parole, parabole e miracoli non sono stati sufficienti all’uomo per credere nella verità di un dio differente, di un dio innamorato. Occorreva perciò un ultimo drammatico gesto, un segno inequivocabile, indiscutibile del suo amore per l’uomo.

                Perciò, quel crucifige, che spazza via il giubilo dell’osanna, non ci deve inquietare, anzi ci deve stupire e spingere ad amare e contemplare di più il nostro Dio differente soprattutto nel volto sofferente e umiliato del Figlio, giacché proprio la croce è e resta l’unità di misura che Egli usa per manifestare il proprio amore infinito.

                Il modo migliore per ricambiare questo dono d’amore di Dio è far fiorire la croce, e, in un certo senso, il ramoscello d’ulivo, che oggi abbiamo ricevuto in tutte le Chiese, ci ricorda il modo in cui si può far fiorire la Croce. E ciò avviene se ci impegniamo ad uniformare il nostro stile di vita a quello del Cristo giudicato, umiliato e condannato, ovvero diventiamo uomini miti, mansueti e colmi di ogni dolcezza e tenerezza.

                In altri termini, essere come Cristo nel rapporto con gli altri: coltivare la tenerezza, abbattere tutti gli egoismi che rendono più difficile le nostre relazioni; amare il perdono e disdegnare la vendetta; pregare per i nemici; essere artefici di riconciliazione; desiderosi di ricomporre l’unità infranta con Dio e tra noi; capaci, infine, di sorridere a chi ci mostra una faccia feroce o comunque ostile.

Essere, ancora, come Cristo nell’amore, ovvero capaci di amare coloro per i quali avremmo buone ragioni per lamentarci; di comprendere le persone che non ci capiscono; di rispettare quanti non la pensano come noi; e di non escludere dal raggio della nostra bontà gli “antipatizzanti”. Capaci di convincersi che le cattiverie e le indelicatezze altrui non possono in nessun modo scalfire la nostra generosità, perché essa ha come modello e punto di forza il Cristo crocifisso.

                Ma, soprattutto, questo ramoscello di ulivo che stringiamo tra le mani ci ricorda che dipende da noi scegliere ogni giorno se amare come Cristo ha amato, ovvero “da folle”, gratuitamente senza limiti e condizioni, indipendentemente dai comportamenti altrui. Di pende da noi, in sostanza, abbandonare  Gesù sulla croce o, invece, amarlo e seguirlo, accettando anche noi la croce.

E decisamente impegnativo questo ramoscello, ma del resto è cresciuto su un tronco “tormentato” che ha visto il Figlio dell’Uomo soffrire, sudare sangue e morire. Ci vuole poi molta forza, impegno e fatica perché esso non inaridisca, ma resti sempre verde, capace di portare i frutti attesi.

Del resto questa è la dinamica della Settimana Santa, fatta di volontà obbediente, di profonda sofferenza, di tenero amore e di dono gratuito. Di fronte ad essa, infine, non spaventiamoci né angosciamoci dinnanzi allo “spettacolo” della croce, giacché il “giorno dopo” la Settimana Santa porterà la Resurrezione, il frutto più atteso e prezioso della Pasqua del Signore; mentre “l’urlo della croce non è altro che una invocazione assoluta dei cieli”(A. Merini).

 

Conclusioni

  

                Una grande mistica del secolo scorso, Edith Stein, scriveva: “La croce non è fine a se stessa. Essa si staglia in alto e fa da richiamo verso l’alto. Quindi non è soltanto un’insegna, ma è anche l’arma potente di Cristo, il simbolo trionfale con cui egli batte alla porta del cielo e la spalanca”.

                Non commettiamo dunque l’errore di fermarci al trionfo di questa domenica, ma seguiamo il nostro Dio fino al “giorno dopo”, partecipiamo al Suo mistero di vita e di morte, di amore e di odio, perché solo così potremo prendere parte con Lui e in Lui anche al mistero glorioso del “giorno dopo” della Resurrezione.

Serena domenica

+ Vincenzo Bertolone

 

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