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Vangelo di domenica 14 Marzo PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
sabato, 13 marzo 2010 08:21
ImageDal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 15,1-3.11-32. - Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa parabola: Disse ancora: «Un uomo aveva due figli.
Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze.
Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto.

Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò.  Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi.  Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso.  Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

(Commento di mons. Bertolone)

IV Domenica di Quaresima

14 Marzo 2010

 

L’amore di un Padre

 

Introduzione

 

                In questa quarta domenica di Quaresima ci troviamo di fronte ad una pagina di Vangelo oserei dire “inflazionata”. La conosciamo bene, forse sin dall’infanzia, e d’allora chissà quante volte ne abbiamo ascoltato il contenuto e le sue diverse spiegazioni.

Eppure, per quanto crediamo di conoscerla bene, la Parola, non smette mai di stupirci e di formarci. Essa, infatti, cresce con noi e ha sempre delle cose nuove da dirci, proprio perché lo Spirito, che rinnova tutte le cose, propone anche messaggi nuovi attraverso la Scrittura.

                Quale messaggio cogliere e sottolineare tra i tanti che sottende questa parabola del Vangelo di Luca è davvero una impresa: ciascuno di essi dice qualcosa alla nostra vita di uomini credenti. Infatti, dalla realtà complessa del figlio minore, perduto e ritrovato; dalla fredda razionalità e senso di “giustizia” del maggiore, sempre ligio al dovere; alla tenerezza dolorosa e infinita del Padre, capace di tanta misericordia dinanzi alle diverse attese e scelte dei figli, tutto è utile per ripensare e riflettere sulla nostra vita e sul nostro rapporto con Dio.

                Ma il breve spazio di queste briciole di riflessione non ci lascia il tempo di esaminare ogni dettaglio della straordinaria storia di amore e perdono che Luca ci racconta. Perciò occorre mirare al cuore del suo contenuto concentrato nella forte valenza di un’espressione: “era necessario”, la quale apre un orizzonte sconfinato sulla realtà del Padre e sulla verità dell’uomo.

La realtà del Padre è quella della necessità di perdonare, amare, di gioire perché il figlio minore è ritornato; ma è anche la realtà di Cristo che, per far ritornare l’uomo al Padre, deve necessariamente recarsi a Gerusalemme per essere giudicato, condannato, messo a morte e per poi risorgere.

La verità dell’uomo necessariamente deve svelarsi attraverso la caduta, perché solo quando si è toccato il fondo ci salva la nostalgia del Padre e della Sua figura, primo passo per ritrovare la dimensione filiale, anelante al perdono, perché amati infinitamente dal Padre misericordioso.

                Dunque, da un lato la necessità di Dio di perdonare e amare, perché è parte della sua natura misericordiosa, svelatasi pienamente nella vita e nella morte del Figlio; dall’altra, la necessità dell’uomo di sperimentare la caduta per ritrovare la prossimità di Dio, perché la sua natura debole e misera tende all’abbandono e al rifiuto, ma poi sa ravvedersi quando si accorge che senza Dio è morte.  

                E questa è la storia di sempre, la storia dell’umanità che cade e poi si rialza, sfrontata all’apparenza, ma con dentro la nostalgia di Dio. È la storia più che mai attuale di tanti che si allontanano dal Cielo nell’illusione che la libertà e la felicità si trovino altrove, ma vanno incontro ad una inevitabile sconfitta con conseguente svilimento della propria umanità. Ma è anche la storia della misericordia di Dio, che attende il ritorno del figlio perduto per rendergli molto di più della sua dignità originale: una vita nuova.

 

Il delirio di autostima e la perdita della dignità

 

                Oggi più che mai si è diffusa la concezione che Dio sia una presenza assillante, ossessiva, apertamente oppressiva e soffocante.

«Se fai dipendere la tua vita da Dio – si dice da più parti – non sei più padrone della tua libertà. È Lui che ti controlla, ti osserva, ti giudica, invade tutti gli spazi della tua esistenza, anche quelli della tua interiorità. Devi perciò fare una scelta: o scegli Dio e rinunci a vivere come vorresti o scegli la tua libertà e ti sottrai ad ogni tutela che venga da Dio».

                E così succede che molti, succubi di queste affascinanti suggestioni, si allontanino da Dio, convinti di trovare altrove libertà e felicità. Ma se l’amore è vulnerabile, anche il disamore lo è: si cerca la pienezza del vivere lontano dall’amore di Dio e si trova, il vuoto: si è convinti di essere liberi (perché senza padrone), ma ci si trova in catene e con tanti altri padroni da servire, si sognano grandi spazi dove vagabondare e, invece ci si trova ingabbiati e “ammassati”.

Si perde tutto quando si pensava di poter raddoppiare, moltiplicare: vita, libertà di movimento e di pensiero. Ma che dico, si perde: si regredisce addirittura, giacchè ci si gioca perfino la dignità. Si diventa schiavi di tanti padroni esterni ed interni, ci si muove  e si pensa in spazi angusti dove il pensiero si massifica perché perde di originalità; e, infine, si perde l’immagine di sé, ci si dimentica della bellezza di essere uomini figli del Padre misericordioso.

                Eppure proprio quando arriva all’ultima spiaggia del naufragio, l’uomo conserva un barlume della sua dignità: allora rientra in se stesso, si converte a se stesso. Ed è proprio in questo movimento dal di dentro che l’uomo si incammina verso Dio. Infatti, questo ritornare in sé paradossalmente, nella sua estrema distanza, avvicina al Padre, a colui che è intimior intimo meo -  come dice S. Agostino, cioè a Colui che è più intimo di se stesso. Così apprendiamo che proprio quando si toccano i limiti della creaturalità, lo spazio che ci divide da Dio si fa più sottile, e si inizia a intravedere il volto del Padre e con Esso il desiderio di ritornare a vivere veramente.

Dalla morte alla vita e dalla vita al Padre, infatti, solo chi cerca la vita troverà Dio e, viceversa, solo chi cerca Dio davvero troverà la pienezza della vita.

                Chi sperimenta questo cammino fa in un certo senso l’esperienza di un esodo alla rovescia: si abbandona la libertà, erroneamente scambiata in prigione soffocante, per mettersi al servizio dei propri piaceri. Quando poi ci si rende conto dell’abbaglio, non si esita a riprendere il cammino di ritorno.

                Ma quando si inverte la rotta? La rotta si inverte nel momento in cui si prova la nostalgia di Dio, la nostalgia di quella “oppressione” che si è lasciata sconsideratamente alle spalle; la nostalgia di un volto amorevole di Padre e Madre che non condanna, non giudica, ma attende e perdona.

 

Braccia aperte ad accogliere

 

                Sull’immagine del volto misericordioso del Padre apriamo la seconda ed ultima parte della nostra riflessione domenicale. Su di essa, infatti, si concentra tutta l’attenzione di chi si accosta alla lettura di questa bellissima pagina del Vangelo. Del resto, non può essere diversamente, giacché al centro della parabola c’è la rivelazione del cuore del Padre.

Ed è proprio il Padre il protagonista del racconto, rivelandosi un Padre che non perde la speranza di rivedere il figlio tornare, che non smette mai di avere fiducia in lui e, soprattutto, non lo giudica e non lo condanna.

                È un Padre sempre in attesa, perché sa che l’amore con cui ama i figli, in particolare i più deboli, prima o poi li toccherà. E, ancora, è un Padre che rinasce di fronte alla resurrezione dei suoi figli; esplode di gioia di fronte al ritorno, al loro ritrovamento.

Nel perdonare Egli continua ad elargire doni: non nel senso materiale, ma dandogli la possibilità di inaugurare una nuova esistenza, e con essa un nuovo programma di libertà e di amore.

                Accogliere queste consegne e vivere in conformità ad esse significa diventare “creature nuove”, e la cosa risulta possibile unicamente “in Cristo”. Non è questione di sforzo da parte dell’uomo, o meglio, lo sforzo dell’uomo consiste solo nel lasciarsi riconciliare con Dio attraverso l’amore per Cristo e la sua sequela.

 

Conclusione

 

                « È da 2000 anni – diceva Péguy – che questa parabola ha fatto piangere un numero incalcolabile di uomini». A fare piangere di commozione è sicuramente il Padre della parabola. Un Padre incredibile che si ritrova ad avere un figlio con così tanti problemi, eppure cerca di risolvere tutto affidandosi unicamente alle risorse della sua inesauribile misericordia.

                Possiamo ora capire perché Péguy si augurasse che, in caso di perdita di ogni copia dei quattro Vangeli si salvasse almeno questa pagina che è il fulcro di tutta la Parola di Dio.

E se l’apostolo Paolo ci esorta a lasciarci riconciliare con Dio, ora ben sappiamo quale Dio vuole la nostra alleanza: il Dio che ama la festa, la gioia, soprattutto la gioia di perdonare. E che cosa si attende Dio da noi? Che impariamo a chiamarlo Padre con il cuore di un fanciullo che si sente sempre amato e rinnovato.     

Serena Domenica

+Vincenzo Bertolone

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