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L'eutanasia della democrazia PDF Stampa E-mail
Scritto da A.d'Orsi   
giovedì, 11 marzo 2010 12:29

angelo d'Orsi
il prof.Angelo d'Orsi
Come non provare una grande preoccupazione davanti alla deriva bonapartistica di questo Paese? Come non sentire un disagio fortissimo per le incertezze balbettanti dell’Opposizione parlamentare, in cui solo un politico certamente discutibile come Tonino Di Pietro, dice pane al pane? Come non sentirsi affranti e quasi stranieri nel distratto rumore di fondo della gran parte dei nostri concittadini? E come non condividere lo sdegno di quei commentatori, in patria e fuori, da Gustavo Zagrebelsky ad Antonio Tabucchi, che hanno posto in luce le responsabilità del capo dello Stato, che ha firmato un decreto-legge inammissibile? Stiamo, insomma, assistendo, inani, distratti, indaffarati nelle nostre cose di tutti i giorni, ad uno degli atti finali dell’eutanasia della democrazia italiana. Basterà l’Europa a salvarci?

Media largamente controllati dal nuovo duce; magistratura sotto attacco; organi di garanzia, a cominciare dalla stessa Presidenza della Repubblica, intimiditi; università – ossia gli ultimi baluardi di un sapere ancora largamente critico, non del tutto asservito alle logiche privatistiche del mercato – private di fondi e sottoposte a uno scandaloso bombardamento denigratorio…
Sì, dire che sono preoccupato per la piega ultima degli eventi, sarebbe usare un’espressione eufemistica. Sono angosciato, questa la formulazione più adeguata a rappresentare il mio stato d’animo. So pure che Napolitano ha firmato pensando trattarsi del “male minore”, davanti alle minacce del nuovo Nerone, che, come d’altronde avevano già annunciato alcuni suoi pretoriani (vedi per tutti l’incredibile faccia-di-bronzo La Russa), affermava: “Non accetteremo mai una sentenza che impedisca a centinaia di migliaia di nostri elettori di votarci alle regionali. Se ci impediscono di correre siamo pronti a tutto”.

So, o credo di sapere, che Napolitano ha firmato in assoluta buona fede, temendo l’ingresso del Paese in una situazione di fibrillazione incontrollabile. Ma, caro Presidente, ci sono momenti in cui il rispetto della legge deve passare davanti a tutto: e per chi svolge il ruolo di garante della legge, anzi della Legge, a cominciare dalla legge fondamentale, la Carta Costituzionale (non a caso bersaglio favorito delle nuove destre, ormai da un ventennio e più), questo è, semplicemente, il dovere per eccellenza, il dovere supremo. Lei, Presidente, aveva promesso, se non altro, di cercare “una soluzione condivisa”, cosa non verificatasi e non verificata da Lei: Lei ha firmato, e ha firmato nottetempo. Non dirò come un ladro, ma, mi rendo conto, come un uomo spaventato. So, per metterla in termini nobili, che in Lei ha prevalso l’etica della responsabilità, sull’etica della convinzione: ma, per evitare guai al Paese, la sua firma ha avallato l’ennesima ferita, gravissima, alla democrazia.

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Mi fermo in questa finta lettera aperta a Napolitano, poiché altre ne sono state più o meno efficacemente vergate, che ho idealmente o praticamente sottoscritto. Ma, non posso non aprire una breve parentesi su un’altra lettera, che mi è giunta ieri, con invito a firmare: estensori tre colleghi universitari, Dino Cofrancesco, Biagio De Giovanni, Domenico Settembrini. Una lettera davvero bizzarra, a dir poco, in cui i tre, che certamente qualche nominativo aggiungeranno in calce, citano ampiamente il comunicato del Quirinale per dire che sono d’accordo. E spiegano: “Ella ha dato al paese una lezione, al tempo stesso severa e realistica, delle linee di condotta che la suprema carica dello Stato deve assumere dinanzi a un conflitto oggettivo di valori”. Dove i “valori” sarebbero il rispetto della legalità e il diritto del partito ora di maggioranza relativo (in Parlamento, non nelle Regioni, tra l’altro!) ad essere votato: e l’apprezzamento a Napolitano viene motivato per aver questi scelto l’opportunità, ossia la tutela degli interessi del partito del presidente del Consiglio (che intanto minacciava sfracelli), contro il rispetto delle norme. Le quali, invece, come è noto, valgono per tutti gli altri. E quante liste sono state escluse nella storia repubblicana per mancato rispetto dei termini? O per irregolarità formali? E chi ha gridato al golpe, in quei casi? Come dimenticare gli strepiti di La Russa (ancora lui!) contro la lista di disturbo presentata alle Regionali cinque anni fa, esclusa appunto per insufficienti firme o per firme irregolari? Un breve commento all’iniziativa dei tre colleghi si impone. Diramare un testo ipocrita di sostegno a Napolitano garante della Costituzione, perché l’ha interpretata secondo il comodo del padrone, è davvero cosa strana. Ed è chiaro che il messaggio è a coloro che stanno appunto facendo osservare che il presidente ha tradito il suo ruolo. E ancora una glossa marginale: se Cofrancesco e Settembrini sono schierati da sempre o quasi su posizioni anti-antiberlusconiane, De Giovanni è stato uno degli animatori del postcomunismo italiano: un ideologo della fu-sinistra che a furia di sbandierato realismo politico si trova oggi sulla barricata di La Russa. Complimenti!

Come stupirsi allora davanti alla “politica” (quale?) dell’esitante Pd? Un partito, floscio come un palloncino senza più gas elio all’interno, che difende Napolitano, ma aderisce alla manifestazione di protesta (si può essere così schizofrenici?), al punto che persino Casini ha saputo trovare parole più dure e più amare, dove arriveremo? Quale il prossimo passo nella discesa agli Inferi di questo Paese che non sa nemmeno più parlare la lingua base dello Stato di diritto? Che, come dice l’espressione stessa, si fonda sulla legge: la legge come strumento di garanzia che pareggia i conti, quanto meno sul piano formale; il diritto come elemento che scardina i privilegi (godimento esclusivo di diritti, appunto), rendendo cittadini e cittadine, vecchi e giovani, cattolici e islamici, credenti e laici, di destra di centro o di sinistra, “uguali”. Si può accettare un decreto per ragioni di “opportunità”? Ammesso che davvero sussistano, tali ragioni, ossia le ragioni di una parte politica che si suppone maggioritaria, può la politica avere la meglio sulla legge? E se (come è accaduto tante volte) la parte lesa (per sua incapacità o per lotte intestine: vedi PdL oggi) fosse stata un partito minoritario? Il decreto “salvaliste” si sarebbe fatto? Sarebbe stato imposto al capo dello Stato? E questi ha scordato che esiste una legge che impedisce la decretazione in materia elettorale?

In definitiva, è ammissibile il gesto del governo e l’avallo del Presidente? La risposta è semplice: no; non si può. E sia consentita un’altra domanda: è certo Napolitano che la sua firma placherà gli animi? Che non si ritorcerà contro di lui? Che non sarà un cavallo di Troia per lasciare libero accesso agli Achei per farli accedere alla cittadella democratica, a quel che ne rimane, e impadronirsene? Quanti esempi, in tal senso, ci offrono i magazzini della Storia: quante volte sinceri liberali o democratici hanno fatto prevalere la ragion politica sulla legalità, e sempre, ogni volta, essi stessi ne sono stati le prime vittime. Quando nel 1919 venne arrestato Benito Mussolini, per le armi trovate nel suo “covo” di via Paolo da Cannobio, a Milano, sede del “Popolo d’Italia”, e per le accuse di violenza contro avversari politici (vedi i fatti sempre di Milano dell’aprile di quell’anno, quando venne assaltata e bruciata la sede del quotidiano “Avanti!”), il presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti lo fece scarcerare per ragioni di “opportunità”. Fu pochi anni dopo costretto all’esilio dai fascisti andati al potere. Basta questo esempio? Ma, davvero, di situazioni siffatte la storia è persino ridondante. Eppure, possibile che nessuno studi la storia? È possibile che nessuno ne apprenda la severa lezione?

Rimane, certo, il problema di una vera e propria situazione di crisi in atto, nel Paese: il suo scioglimento, quando sarà, non potrà che essere “rivoluzionario”. O cacciare il tiranno, e porre fine alla devastazione delle istituzioni, del lavoro subalterno, del tessuto sociale, della scuola, dell’università e della ricerca, dell’ambiente, della cultura e della stessa fisionomia antropologica degli italiani; oppure, consentirgli di fare tutto, ma proprio tutto, sulla base di un principio di identificazione tra interessi di Stato e interessi di partito, tra pubbliche virtù e privati vizi, tra democrazia e “mignottocrazia” (sia lecito il ricorso a questo nuovo lemma della politica, ormai trionfalmente entrato in uso…), tra legge e privilegio, tra legalità e opportunità, tra vantaggi per la cosiddetta “azienda Italia” (che orrore!), e l’azienda di famiglia (del capo), e così via. Siamo a un tornante decisivo, ritengo. E in situazioni siffatte forse le mezze misure sono escluse. Occorre dar vita a una Concentrazione di tutte le forze, culturali e politiche, sociali ed economiche, preoccupate per i destini del Paese. Forse in un momento come questo anche la distinzione canonica, a cui credo fermamente, Destra/Sinistra, viene meno, cede il passo ad altre esigenze, ad altre urgenze, ad altre necessità discriminanti: oggi la distinzione è tra Partito della Salvezza e Partito della Devastazione. Contiamoci, e per un momento, mettiamo da parte ogni disputa, rinunciamo a tentazioni  identitarie, lasciamo cadere distinguo, in altri tempi utili: come fece il CLN contro il regime mussoliniano e il suo alleato padrone hitleriano. Occorre dar vita a una Concentrazione per la Salvezza dell’Italia. Ora. Non domani. Ora.

Angelo d’Orsi

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