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Con Berlusconi verso l'abisso PDF Stampa E-mail
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giovedì, 04 marzo 2010 11:29
Jacquelin Risset
Jacqueline Risset
Nata a Besancon (Francia), Jacquelin Risset oggi vive e insegna in Italia.  Scrittrice, poetessa e docente di letteratura francese presso l’Università La Sorbonne di Parigi e quella di Roma Tre. Oltre ad aver scritto sei libri di poesia, viene ricordata in modo particolare per il suo lavoro di traduttrice dall’italiano al francese delle opere di Dante Alighieri.. La sua traduzione de “La divina commedia” è considerata la migliore in lingua francese. Di tanto in tanto suoi articoli sono pubblicati da importanti riviste e quotidiani d'oltralpe. L'articolo che vi proponiamo ci è stato segnalato dall'amico dott. Francesco Doni ed è stato pubblicato sul quotidiano francese "Le Monde" dello scorso 27 febbraio. Chi ha ancora capacità di indignarsi lo legga fino in fondo, per gli altri: che Dio abbia misericordia di loro

Da secoli l’idea d’Italia suscita nell’animo degli europei un’emozione particolare. Come se l’universo di questa penisola fosse formato di una materia diversa – i paesaggi, le città, i villaggi immersi in una specie di luce mitica, il cui segreto restava inaccessibile. I viaggiatori del Grand Tour (ndt.: specie nel 1800) non smettevano di descriverne il fascino. Gli scrittori hanno tentato spesso di accostarsi al suo mistero. Stendhal vi provava una continua emozione, fino al malessere, condiviso da molti altri visitatori messi di fronte alla sovrabbondanza dell’arte.

Per Nietsche l’Italia è luce, dolcezza, liberazione. Lì non sente, dirà poi, il bisogno di dire “no”, come capita a chi esce il mattino per le strade di una città tedesca; luce, musica e “le dolci uve nella fruttiera”, a Torino, negli ultimi periodi di serenità. Per Freud l’Italia è rivelazione necessaria: ”Ciò di cui ho bisogno è l’Italia”; l’arte italiana – “tesoro simbolico quasi sacro” – gli è rivelazione d’inconscio, esperienza dell’alterità e dell’essere fuori dal tempo. Progetta di finire i suoi giorni a Roma.

Ancor oggi nella memoria del viaggiatore spunta l’impressione di abbagliamento e di trasfigurazione del primo incontro: paesaggi armoniosi dei grandi laghi, il caffelatte del mattino francese cambiato in schiuma delicata di cappuccino, suono di zoccoli di legno sulle piastrelle di Sirmione, gaiezza, alberi e fiori. E poi l’incanto completo: Venezia, Firenze, più tardi Roma con le sue belle, sorprendenti architetture, il Tevere, le fontane…

Ma esiste anche un altro versante – il versante nero, da tempo conosciuto dai poeti e romanzieri italiani, esplorato da Alessandro Manzoni (1785-1873) ne I Promessi Sposi, il cui titolo innocente non lascia indovinare gli abissi di perfidia e di tragedia che a poco a poco si aprono davanti al lettore. Romanzo basato, come La Certosa di Parma, su un’antica cronaca italiana molto violenta e molto oscura, in esso non si trovano né Fabrizio, né Clelia, né l’ombra di una Sanseverina.

Si tratta dei tempi della peste del XVII secolo, sotto il dominio spagnolo. Intrighi tenebrosi e oscuri delitti. Pagine implacabili, affresco tragico del XVII secolo italiano, che si rivelano essere, per di più, una visione anticipata dei misteri e degli scandali non risolti degli Anni di piombo e dell’Italia contemporanea, tale come Pasolini l’ha percepita, denunciata e subita, fino alla sua morte compresa. Di fatto, la radice antica della situazione odierna può essere riconosciuta nel fatto che il potere è stato quasi sempre esercitato in Italia come “fazione e oligarchia”, pratica autoritaria di fronte alla quale ”il peggio senza dubbio è non essere protetto”. Questo porta con sé un’atmosfera che può definirsi con il termine d’ignavia, che Leopardi usava a proposito della ”vilissima condizione” dei suoi compatrioti – ignavia, vale a dire “inazione per incapacità di comprendere”, in una società simile a quella che Manzoni descriveva (quella del XVII secolo, ma che era anche la sua). Oggi è nuovamente l’ignavia che si stabilisce – una passività, un’accettazione che ricordano come il regime fascista, che è durato vent’anni con un ampio consenso, non è stato indubbiamente mai sottoposto a un lavoro di esame e di giudizio come lo è stato il periodo del nazismo nella Germania contemporanea.

La Costituzione italiana, elaborata dopo la guerra da personalità di diversa appartenenza politica ma tutte dotate di una coscienza democratica maturata dall’esperienza storica recente, è certamente la migliore, la più chiaramente repubblicana, laica, di tutte le Costituzioni europee. Ma, in seguito, l’educazione del popolo italiano alla democrazia non è stata effettivamente fatta dai governi democristiani.

La Sinistra italiana – grande Partito comunista gramsciano più che marxista e forte Partito socialista, allora alleati – era indubbiamente portatrice di una vocazione educatrice, ma tutta la sinistra s’indeboliva progressivamente a partire dagli anni ’70, minati dai conflitti, dal terrorismo, dalla corruzione, quest’ultima in crescita costante negli anni ’80, sotto l’effetto della politica craxiana, che rompeva di colpo con la tradizione etica della sinistra e forniva un’ideologia pronta per il governo d’azienda, che presto avrebbe attaccato le basi stesse della democrazia.

Con la famosa ”discesa in campo” del 1994 è la società dello spettacolo, come l’ha descritta Guy Debord, che inizia e si estende come una piovra: niente più passato, niente più futuro, un presente immaginario, sdrucciolevole, piatto. Due fenomeni danno la misura della particolarità e della gravità del momento storico: lo stato d’ipnosi degli elettori di questa destra pseudo-liberale e la “servitù volontaria” di uomini politici che, se si escludono i reclutati ad hoc (imprenditori, avvocati, ecc.), negli anni precedenti avevano conosciuto un passato di una certa dignità e che adesso si apprestano a sostenere, imperturbabili, con una disciplina assoluta, il valore intrinseco e “buono per il popolo” di ogni nuovo colpo portato dal loro re Ubu alla democrazia.

Ci si domandava allora come tutto un Paese potesse essere portato, senza violenza (anche se la violenza non era tanto lontana da quanto non si volesse dire, lo si vedrà con il G8 di Genova), a un sonno tanto ottuso? Le cause ne sono diverse, radicate nella storia recente e più remota. I mezzi sono quelli, utilizzati in modo ripetitivo, dell’abolizione dei rapporti fra la realtà e la fiction, abolizione progressiva alla quale avvezza una televisione allucinatoria a forti dosi.

La vulgata governativa di allora, secondo la quale la sinistra – più precisamente il Partito comunista – avrebbe governato il Paese da cinquant’anni, probabilmente non era una semplice trovata da campagna elettorale. La tranquillità con la quale l’opinione pubblica accettava questa curiosa riscrittura della storia recente rivela indubbiamente una convinzione segreta, e radicata, secondo la quale il governo “naturale” del Paese sarebbe stato il regime fascista, artificialmente interrotto in qualche modo dalla guerra e dalla disfatta militare… Tuttavia, in tempi da record, un Paese agricolo e cattolico si trasformava in un Paese industriale edonista, senza legge, senza punti di riferimento. Scivolamento, liquefazione… Il tessuto cede silenziosamente, la pozzanghera si allarga…

Già sono visibili i danni che si estenderanno senza limiti fino a oggi: ritorno fascista, episodi razzisti contro gli immigrati – adesso ridotti in schiavitù come lo si è visto il mese scorso in Calabria -, collusione con la mafia diventata sempre più centrale e sempre più evidente.

Negli ultimi tempi il Paese è arrivato all’ ”anestesia totale”, alla ”sonnolenza collettiva”, alla ”narcosi” – termini apparsi qualche giorno fa sotto la penna di grandi giornalisti dell’opposizione, di un’opposizione peraltro praticamente impotente, perché, secondo un recente sondaggio, l’87% degli italiani ricevono tutte le loro informazioni dalla televisione – da una televisione privata, ma anche pubblica, sempre più in mano al governo.

Lo scopo originario dell’installarsi berlusconiano – ciò che la grande giornalista Rossana Rossanda definiva allora come ”una capitolazione del Paese davanti all’azienda pura e semplice” – sembra ormai raggiunto, anche se oggi, per la prima volta, qua e là appaiono sintomi di ribellione. L’ultima realizzazione del governo italiano, che si chiama “Protezione civile”, è un’organizzazione destinata all’intervento rapido in caso di “catastrofi naturali” (ma a poco a poco estesa ad avvenimenti dei quali l’urgenza e il carattere naturale sono sempre meno dimostrabili). Essa procede mediante interventi urgenti, che si effettuano al di fuori e al di sopra delle leggi. Da qui la nascita di un potere assoluto che sfugge a qualsiasi controllo e di un’incredibile fonte di corruzioni di ogni genere. Qualche membro della coalizione di governo prende a poco a poco le distanze, Gianfranco Fini, presidente della Camera, Giuseppe Pisanu, ex ministro dell’Interno: ”L’orizzonte dell’interesse generale è chiuso, si sono aperte le cateratte dell’interesse privato”.

Ogni giorno scoppia un nuovo scandalo. Forse si prepara una miscela esplosiva – stanchezza, esasperazione dei cittadini davanti a una classe dirigente ”non soltanto corrotta, ma decrepita”, scrive Curzio Maltese, lucido analista del fenomeno fin dai tempi in cui era iniziato: crudeltà della crisi (migliaia e migliaia di operai e ricercatori scacciati dai loro posti di lavoro e ridotti alla povertà assoluta), vittime in rivolta del terremoto dell’Abruzzo (“Dopo un anno qui tutto muore”), desiderio di un futuro per il momento inimmaginabile. Rivedremo presto il cielo italiano di Stendhal?

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