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Canzone di Natale PDF Stampa E-mail
Scritto da M.Miani   
lunedì, 21 dicembre 2009 11:39

Michele MIani
Michele Miani
L’anno che scorre via, si porta tante premesse e promesse non mantenute. Come tutti gli almanacchi, ci ha dato giorni buoni ed anche brutti, per molti anche tragici, spesso incolori, le disgrazie che si sono succedute, nell’Italia e nel mondo sono state grandi, purtroppo sono inevitabili alcune, altre sono da annoverare tra le tante annunciate perché provengono da incurie e negligenza umana, errori, menefreghismo, faciloneria tutte cose che, come nodi, vengono sempre al famoso pettine, e, quando giungono lasciano morti e distruzione: i terremoti, gli allagamenti, le frane che per un aspetto o per un altro ci colpiscono con il cuore scoperto perché inaspettati.

Così come dolorose sono tutte le tragedie che accadono nei nostri ospedali, ove troppo spesso la cosiddetta “mala sala” lascia una scia di morti che con un po’ di maggior accortezza e viepiù una spesa in attrezzature e personale si potrebbero evitare.

Sono gravissime e lunghissime le liste delle cronache di tante morte bianche che ci fanno detenere un triste primato nel mondo del lavoro, ove pare che regni la massima insicurezza.

Non prolunghiamo le note cattive che ci tormentano specialmente nella nostra Calabria.

Verrà l’anno nuovo con tutti gli auguri ed i buoni auspici che ognuno si fa e chiede. Speriamo, come sempre che sia diverso, sia più mite, che ci scansi da disastri, da guai famigliari, nazionali e mondiali;  nella realtà i giorni scorreranno come i tanti passati nello scorso anno come nei 2009 trascorsi dopo, Cristo, imperturbabili come sempre così come sono segnati dal destino, immutabili, anche se noi cerchiamo di esorcizzarli, con la speranza a che possano variare seguire una strada diversa consona alle nostre aspettativa.

I Giorni, saranno più belli,  se a sera vi sarà quel rosso che ci fa sperare, purtroppo i popoli, con la compiacenza quasi folle annullano il rosso foriero di buon tempo e lasciano al giorno, anno susseguente cieli neri che  non fanno sperare.

Io voglio essere caparbio e testone da buon calabrese, voglio continuare a sperare che il mondo cambi e che nel tempo forse i nostri figli, nipoti o pronipoti possano vedere i cambiamenti che tutti ci auguriamo oggi. D’altronde dall’anno zero ad oggi sono cambiate tante cose, perché disperare e non lasciarci, magari ultima, la speranza.

Quindi AUGURI a chi vuole, come me, credere ed affidarsi alla speranza.

 

Canzone di Natale

 

Era, al timpone

in vico I Ginnasio 25,

la casa della nonna.

Uno stanzone grande,

vasto per contenere

i mobile vecchi.

Tre cassoni, due tavoli,

uno scanno ruvido

intagliato a mano

dal tronco di un grande albero,

un comò,una toilette,

sopra questa uno specchio

ai bordi il grigio del tempo,

attorno alla cornice

qualche figura di santo,

due o tre foto a ricordo

di parenti estinti, defunti. 

Un letto, su supporti di ferro,

alto, largo, fatto di foglie

ingiallite, croccanti

tratte d’estate dalle pannocchie

del granturco dei campi

racchiuse in un telo rigato

steso su tavole di legno,

sotto il letto accumulata la legna

da ardere sotto il tegame,

da bruciare nelle sere d’inverno

per riscaldare le gelide mani.

Una decina di sedie impagliate

sostavano in fila lungo i cassoni.

V’erano al muro due quadri:

su una stampa una madonna

guardava tenera un bambino;

una foto colore carbone ingrandita

del nonno defunto da tempo,

con baffi, capelli a riga, ondulati,

gli occhi severi guardavano burberi.

In un angolo nero enorme il focolare

ai lati pendevano pentole,

tegami, supporti a treppiedi.

Sul bordo piano della cappa

stavano sale,mestoli, piccoli vasi di creta,

un pestello di pietra, una grattugia,

sul ripiano ove bruciava la legna

un sedile di pietra, un ‘incavo

per un orgiuolo d’acqua ripieno.

All’ingresso stava una porta,

una mezza porta con scivolo

dove s’affacciava sulla strada la nonna;

dietro la porta protetto da un panno

un vaso coperto per i bisogni primari.

Sulla parete di destra,

s’apriva una piccola nicchia

per l’appoggio immediato

di quotidiani piccoli oggetti.

 

A natale dopo undici mesi d’attesa

in questa nasceva il presepe.

La mamma Maria, il padre Giuseppe,

il bue, l’asinello, due pecorelle

un pastore, un vasetto di sfoglia di legno,

ove nella notte del venticinque dicembre

un bambinello d’argilla pittato,

fasciato alla vita con un piccolo panno,

al suono lontano delle ciaramelle

veniva portato cantando giulivi,

stonati la nenia di sempre:

“tu scendi dalle stelle o re del cielo…..”.

Ricordo,...la nonna commossa, restava muta.

Io, ... avevo poco più di otto anni.

 

 

Miani Michele

 

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