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Coppi: Il Campionissimo PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
martedì, 15 dicembre 2009 12:54
ImageFosse stato ancora vivo, avrebbe spento le novanta candeline.Invece, non c’è più che saranno cinquant’anni il 2 gennaio prossimo. È Fausto Coppi, il campionissimo, «un omino con le ruote contro tutto il mondo», come canta Gino Paoli, descrivendo l’icona della più grande rivincita italica al ricordo della seconda guerra mondiale. Nell’Italia che risorge dalle macerie belliche, in effetti, Coppi è il sogno che corre su due ruote. Quando nel 1949 vince il suo primo Tour, gli operai italiani emigrati in Francia possono entrare in fabbrica a testa alta, e per un giorno nessun francese si azzarda a chiamarli “macaronì”. Quando pedala, diventa «un uomo solo al comando»: vola senza forzare, è elegante. Il ciclista ha l’umiltà di una sentinella, va a caccia di monti altissimi, rischia, finisce e se ne va, impermeabile alla teatralità: non gonfia mai il petto, non alza il mento, chiede scusa agli sconfitti. L’uomo è mite, introverso, con un’incancellabile vena di timidezza e le sue segrete malinconie, ed è solo al comando anche nella vita. Per scelta, per indole e per il senso di pudore incamerato dagli uomini semplici, senza studi, quelli onesti di una volta che quando non sapevano, se ne stavano in silenzio per paura di sbagliare.
La sconfitta più grande, però, non fu uno svarione grammaticale o una cotta sul Galibier, né la più maligna delle cadute, ma la perdita di suo fratello Serse, nel 1951, durante la Milano-Torino. Fausto avrebbe voluto smettere, ma a farlo desistere arrivò una borraccia carica di saggezza fraterna passatagli da quel Gino Bartali che nell’estate del ’48, facendo suo il Tour, aveva salvato la Repubblica dal rischio dell’insurrezione. Si rimise allora in sella, andando a vincere il Giro d’Italia del 1952, il suo secondo Tour de France e il titolo mondiale del 1953 a Lugano. Qui, sul podio, comparve al suo fianco Giulia Occhini in Locatelli, la donna che il giornalista francese Pierre Chany avrebbe reso famosa come «la dame en blanc». Quello tra la stella suprema del ciclismo e la dama bianca diventò un caso internazionale, ma soprattutto fu l’adulterio più famoso d’Italia, un attacco alla morale dell’epoca che non conosceva il divorzio. Ed il nuovo inizio dopo la bufera fu per lui un volo breve, triste e solitario: agli attacchi del gruppo compatto che cercava di sgretolare il mito vivente del campionissimo, Fausto offrì il silenzio. Fu il tracciato malinconico della discesa dell’airone di Castellania dal cielo dei successi sportivi a una terra disamorata, dove lo attendeva la morte per una malaria non diagnosticata dopo un safari in Alto Volta, morte da pellegrino medievale al miliario del 2 gennaio 1960. Qualche tempo prima, quando ancora il congedo terreno appariva lontano, a Milano incontrò don Piero Cornelli, rettore di santa Maria Podone. «Come posso essere un esempio?», chiese. Il sacerdote sfogliò le pagine del Vangelo, e gli rispose con la parabola del peccatore perdonato: nell’ultima fuga della sua vita, Coppi il campionissimo venne così acciuffato a pochi metri dall’arrivo e tagliò il traguardo mano nella mano con Dio.

+ Vincenzo Bertolone
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