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Damian de Veuster PDF Stampa E-mail
Scritto da +V.Bertolone   
domenica, 11 ottobre 2009 22:10
de veuster
Padre Damian de Veuster
Più di 300 libri si sono ispirati alla sua vita, e diversi film, tra i quali ultimo “Molokai”, diretto da Paul Cox, sono stati girati per farne conoscere l’opera.
Eppure, il suo nome è quasi sconosciuto ai più. Lui è Damian de Veuster, religioso belga della Congregazione dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto nel XIX secolo e che proprio oggi, in piazza san Pietro, Papa Benedetto XVI eleverà agli onori dell’altare, indicandolo al mondo quale simbolo della cristianità: de Veuster aveva 33 anni quando si recò in missione, inviato dal suo Ordine nell’isola di Molokai, alle Hawaii, all’epoca conosciute come isole Sandwich e non ancora entrate a far parte degli Stati Uniti d’America.

In quel tempo, l’isola era stata destinata dal Governo a luogo di reclusione dei malati di lebbra. Il futuro santo vi rimase per 16 anni, fino al momento della morte. Per le immense necessità del luogo, il suo operato si divideva tra le attività pastorali, l’assistenza spirituale e l’amministrazione dei sacramenti. Capì subito, quasi per istinto di carità, che i malati non lo avrebbero mai accettato se egli avesse cominciato a evitare i contatti, a mostrare ripugnanza. Di poter essere contagiato non si preoccupò. Diceva «d’aver affidato la questione a Nostro Signore, alla Vergine Santa e a san Giuseppe». I superiori gli scrivevano sempre di prendere le massime precauzioni, ma egli sapeva che era inutile andare a Molokai per rimanere un “haole”, un bianco, uno di coloro che, per definizione, «si rifiutavano di toccare». Del resto, era difficile per un prete rifiutarsi di toccare quando bisognava deporre l’ostia consacrata su lingue rose dal male, o ungere con l’olio santo mani e piedi cancrenosi, o bendare con tenerezza orribili piaghe, o anche solo sfiorare la corda della campana su cui s’erano arrampicati per gioco i bambini. Raccontano così che un giorno, mentre fasciava una piaga particolarmente brutta perfino a vedersi, fu lo stesso lebbroso a dirgli preoccupato: «State attento, Padre, potreste prendervi il mio male!». «Figlio mio – rispose - se la malattia mi porta via il corpo, Dio me ne darà un altro!». Infine, nel 1885, immergendo i piedi nell’acqua bollente e non sentendo nulla, si rese conto di aver contratto la lebbra. Sperimentò così il dolore fisico e l’abbandono di cui soffrivano i suoi lebbrosi, fino al giorno del trapasso, giunto il 15 aprile del 1889. Viveva allora il romanziere inglese Robert Louis Stevenson, che vergando di proprio pugno il ritratto del sacerdote belga, scrisse da par suo di «padre Damiano, coronato di glorie e di orrori, mentre lavorava e marciva in quel porcile, sotto le scogliere di Kalawao». E nel 1959, quando le Hawaii divennero la cinquantesima stella degli Stati Uniti, gli hawaiani scelsero di collocare nel Campidoglio, quali emblemi del proprio stato, la statua del re Kamehameha, l’eroe nazionale che aveva unificato le Isole dell'Arcipelago, e quella di Damian de Veuster. L’artista cui venne affidata la scultura lo scolpì all’ultimo stadio della malattia: già lebbroso, coi tratti del volto deformati, ma ancora in atteggiamento di aggirarsi, con bastone e mantello, per i sentieri dell’isola, in visita ai malati, a testimonianza della forza della provocazione di Dio, che col povero lebbroso del mondo, come era definito il religioso belga, aveva raggiunto e toccato uno dei più celebri altari elevati alle glorie umane.

+ Vincenzo Bertolone -

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