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Racconto:Una pesca notturna PDF Stampa E-mail
Scritto da M.Miani   
domenica, 17 maggio 2009 07:22
Arcieri e MIani
da sin: M.Miani,Costantino;F.Arcieri,Alfano
Eravamo uniti in gruppo da una quindicina di minuti, e stavamo passeggiando come al solito. Il Corso Garibaldi era per noi il luogo di ritrovo usuale. Ci si incontrava e, insieme con altri amici si scendeva verso la fontana dell’acqua sulfurea, poi si risaliva sino al duomo, di nuovo si scendeva e quindi si risaliva chiacchierando bonariamente, spesso riscaldandoci a secondo dell’argomento che prendeva il sopravvento su altri motivi di discussione. Si può dire che ogni sera si rifaceva la stessa sortita e si accendevano gli stessi discorsi.

Era una sera di fine Agosto, quando tra le molte parole e le tante variazioni d’argomenti, Mario si avvicinò e prendendomi sottobraccio mi portò in disparte. (La foto è del 1957, scattata a pasquetta, sulla strada del monte nei pressi del bivio di Maroglio)

Discosti dal gruppo. Mario aveva circa diciotto anni. Circa dieci centimetri più alto di me. All’epoca era più magro. Aveva allora pochi capelli, lisci e biondi, già un po’ stempiato. La fronte alta. Con fare circospetto, a bassa voce, mi dice ” vuoi venire domani sera a pescare?”“a pescare dove?” gli rispondo con una domanda “a Civita.”“Civita?”“ si, proprio a Civita.”“ma, non c’è mare, ci passa lontano l’Ejano, il Raganello. Se andremo al fiume, tanto vale pescare sopra Cassano, vicino il santuario della catena, dove c’è qualche briglia a formare delle conghe d’acqua” riprendendo “ vale la pena?”.E, Mario veloce “ma tu vuoi venire?” insiste quasi pressando.“ma…”Il mio ma, sembra una risposta positiva, anche se esprime qualche dubbio legato alla domanda precedente alla quale non ha risposto.“vedi, o meglio ascolta, subito, dopo la stazione di Civita, a circa un chilometro, vi è un canale che a monte si raccorda con il fiume e che porta acqua ad un vecchio molino oramai non più in uso. L’acqua che vi scorre è utilizzata per irrigare gli orti che l’affiancano” m’incomincia a spiegare.“e questo che spiega?”“ascoltami, il canale non è molto profondo, ma ha acqua in abbondanza e in quell’acqua vi sono rane e pesci in grande quantità: trote, anguille, forse qualche carpa non si farà fatica a prendere quattro o cinque chili di pesce a testa.”. “la cosa sembra interessante, è una buon’idea. Ma ritorno sulla mia domanda iniziale perché non andare più vicino?”Gli altri amici, estromessi dal nostro discorrere, si avvicinarono domandando i motivi di tanto parlare così fitto e quasi in sordina. ”possiamo essere partecipi del segreto che vi state comunicando?” dando maggior accento alla parola segreto, pensando che dietro il misterioso interloquire vi fosse qualche storia di ragazza, che avevamo conosciuto; notizia che a loro era stata celata.“Niente d’importante “rispose Mario”si parla di un problema che riguarda una visita di mia madre alla nonna di Michele”.Quasi stupito guardo Mario, ma lui non si scompone interrompendo il discorso. Continuammo a passeggiare nuovamente intruppati con gli altri parlando dei fatti che giornalmente accadevano in paese e che ogni sera si commentavano con ironia e sorrisi divertiti. Dopo un nuovo tratto, questa volta in salita lungo Via Amendola, arrivati all’incrocio con la strada che porta al camposanto, Mario si avvicinò nuovamente e riprese il discorso dove era stato interrotto.“noi dovremmo andare a pescare di notte, perché di notte nessuno ci vedrà e nessuno ci dovrà vedere. Non abbiamo bisogno d’attrezzi rete, canne, esche, né bombe per stordire i pesci”.“scusami, i pesci li pescheremo con le mani o ci salteranno addosso per farsi prendere?”“Ho detto pescare, ma impropriamente, i pesci effettivamente li prenderemo con le mani” e continuando “ ho un progetto che ti spiegherò. Ora no, perché i nostri amici sono troppi, e troppo curiosi. Se saremo tanti rischiamo di mandare tutto in fumo. Tanti galli a cantare svegliano le galline e non è detto che sorga il sole”.finì col dire con il noto proverbio.Resto sulle mie, e notando la mia perplessità, aggiunge subito prima che parli “domani nella mattinata verso le dieci vediamoci in piazza, davanti al duomo, e ti spiegherò il progetto che è sicuro, e ti piacerà”.“alle dieci e mezzo davanti all’ingresso del Duomo” Dico io.“va bene.” Allora non si usavano ancora termini americani come “OK” per dire che si era d’accordo.Dopo un lungo chiacchierio, circa quattro ore, il gruppo si divise ed ognuno prese la strada di casa, come tutte le sere. Era tardi ormai. Per questo non cercai di riallacciare il discorso con Mario. Giunti al duomo, salii per le scale che, da Piazza Sant'Eusebio, rasentano il campanile e portano sulla salita dove era la fabbrica del ghiaccio, mi feci la salita, passai davanti l’ufficio postale, svoltai all’angolo su un piccolo vicolo, poi feci il vico Ginnasio, dove una volta la nonna abitava, e proseguii verso Via Ginnasio dove all'interno del piccolo vicolo cieco in un piccolo cortile stava la dimora della nonna. Giunsi all’uscio di casa. Aprii e come di solito sentii la nonna, nonna Cristina, che dal letto domandava l’ora, pronta a lagnarsi se l’orario era troppo notturno; io, per non sentirmi le usuali rampogne, risposi che erano le undici, anche sapendo che per lei questa ora, per le sue abitudini, in ogni caso, era eccessivamente tarda. Lei, ogni volta che mi ritiravo un po’ tardi, rimproverandomi faceva riferimento al tempo ormai lontano, quando per camminare per le strade, durante le ore serali, specie dopo le venti, di sera inoltrata, per intenderci, si camminava con le lucerne ad olio, le cosiddette lanterne, e le strade mettevano paura, giacché non s’incontrava anima viva, e per di più v’era sempre pericolo di incontrare qualche persona non tanto per bene, anzi un po’ delinquente, che certamente non ti lasciava camminare diritto, per i tuoi servizi, per i quali eri uscito, come diceva lei. Spesso mi raccomandava di non fermarmi per strada di notte, e non salutare mai persone ferme, lei per l’esattezza diceva appostate, perchè magari potevano o volevano compiere qualche azione malavitosa e quindi non volevano essere riconosciute; i tempi erano tristi e non si poteva sapere se il cristiano era uno di quelle dalla coppola alla ventitré o era un cristiano civile timorato di Dio, per questo la migliore cosa da fare era tirare diritto, anzi se era possibile cambiare strada. Mangiai, quello che la nonna aveva preparato qualche ora prima per la cena, che ormai era più che fredda. Mi spogliai ed andai accanto alla nonna sul grande ed alto letto matrimoniale, all’epoca a casa della nonna non v’era un lettino singolo per me. Lei intanto aveva ripreso il normale sonno come di solito, si udiva appena il respiro calmo, non affrettato.In mattinata, giusto alle dieci mi trovai davanti al duomo, passeggiai intorno alla piazza, qualche saluto ad amici o conoscenti che incontravo. Dopo pochi minuti arrivò Mario, anche lui un pò in anticipo rispetto l’ora dell’appuntamento.Appena siamo vicini, subito “allora spiegami” gli dico, riportandomi alla serata del giorno precedente, come se il discorso non si fosse arrestato.“come ti ho detto” incomincia “ dovremo arrivare poco lontano dalla stazione di Civita: ad un chilometro. Dopo il ponte sopra l’Ejano, a circa trecento metri, vi è un canale che serve adesso per l’irrigazione degli orti, prima serviva anche per far girare le pale di un molino per grano.”. Riprende dopo aver fatto una pausa “noi, dovremmo andare e trovarci sul posto intorno a mezzanotte o giù di lì. In zona a quell’ora non troveremo nessuno, giacché tutti saranno già rientrati al paese a dormire. Il mio programma è questo: partenza da casa mia verso le dieci di sera, dicendo a mia mamma che andremo in paese dove ceneremo, restando poi a dormire a casa tua. Tu dirai la stessa cosa a tua nonna.” Un’altra pausa “ci porteremo un pò di pane e della salciccia da mangiare per strada con una bottiglia di vino, tanto per non restare digiuni e per occupare il tempo durante la camminata, che tu sai è bella lunga. Datosi che la littorina della Calabro–Lucana dopo le dieci non circola, perché a quell’ora terminano le corse, noi andremo a piedi seguendo il percorso dei binari”.Ed io do l’intesa, senza nessun’opposizione o dubbi.La Calabro–Lucana all’epoca era una linea ferroviaria a scartamento ridotto che, partendo da Spezzano Albanese, e arrampicandosi dalla valle verso i monti del pollino, passava per Cassano, con un locomotore-carrozza a Diesel chiamato dai paesani “La littorina”. Il tronco, che da Cassano portava a Civita, aveva il suo tracciato, lungo la mezza la costa dei calanchi del santuario della Madonna della Catena, fatto da una lunga serie di curve, con l’attraversamento di due gallerie. Con una cremagliera ed una moderata velocità (diremo passo da lumaca) vinceva la differenza d’altitudine esistente tra le due stazioni. I calanchi a valle, terminavano con il corso del fiume che seguiva la littorina nel discendere verso Cassano e che veniva incontro ad essa, quando si saliva verso la stazione di Civita.La sera, così come d’accordo, dopo aver perso un po’ di tempo attorno alla piazza del duomo, mantenendoci lontani dal tratto dove di solito ci riunivamo con gli amici, ci dirigiamo alle dieci all’incirca sulla linea ferroviaria, facciamo il primo tratto evitando il casello ferroviario dove abita la famiglia di Mario; il padre faceva il casellante di guardia incaricato di vigilare su un tratto del tracciato per segnalare eventuali pericoli di frane o altro inconveniente, fermando se era necessario, con la sua bandiera rossa, la littorina prima che questa potesse superare la postazione della casa stessa.Superato il casello c’inoltriamo sotto la galleria che è posta a pochi metri, la quale è la prima delle due prima del santuario della Madonna della Catena. Abbiamo portato una torcia di fortuna, una di quelle che si autoricarica con lo schiacciamento di una leva, questa alla meglio ci da la possibilità di notare qualche cosa nel buio della galleria.Si cammina attentamente ed in silenzio per non distrarci ed inciampare in qualche sasso o non vedere bene le traversine dei binari.Dopo diverse difficoltà e qualche esclamazione poco lusinghiera per urti, cadute, e per il dolore che queste davano, superiamo le due gallerie, e più velocemente facciamo il tratto scoperto che porta alla stazione di Civita. Più breve è il tempo per raggiungere il posto di pesca: ovvero il canalone punto finale della passeggiata notturna.“allora che si fa?” dico io “ci spogliamo per entrare nell’acqua?”“prima di entrare nell’acqua dobbiamo preparare la zona di pesca” Mario risponde e riprende “cerchiamo dei sassi per sbarrare l’accesso iniziale al fiume in modo che non entri acqua nel canale e dividiamo i vari tronchi del canale per far sì che l’acqua scorra, ma non passino facilmente anche i pesci”. Vi sono cinque bocche per l’uscita dell’acqua che servono per irrigare gli orti sottostanti. Ci mettiamo di buona lena a portare dei sassi vicino a queste. Mario trova una zona dove vi è presente un cumulo di pietre e poche alla volta le portiamo dividendole ad ogni imbocco.Qualche sasso ogni tanto ci cade tra i piedi, sopra i piedi. Per fortuna, non ci facciamo gran male, giacché non abbiamo tolto le scarpe, ed i colpi vengono attuti. Logicamente imprechiamo, ci si lamenta sottovoce, per paura che qualcuno nei dintorni possa udire e mandarci a monte la pesca.Intanto si possono contare gli sgraffi e le contusioni che aumentano con il trascorrere del tempo e del lavoro. Finito quest’opera ci spogliamo e mettiamo i panni ammucchiati sopra un rialzo a vista. Ci siamo scalzati e, quindi a piedi nudi, barcollando ad ogni inciampo, andando con cautela sopra sterpi, sassi e altre mille asperità che ci fanno dolere la pianta dei piedi, entriamo nell’acqua con le sole mutande e ci mettiamo a lavorare.“mi raccomando”disse Mario “ chiudiamo bene il varco principale, gli altri non troppo per far scorrere l’acqua, ma non tanto da far passare i pesci”. Velocemente risaliamo verso il fiume lavorando per chiudere la mandata principale verso il canale, apriamo le piccole chiuse che non permettono il passaggio dell’acqua verso i campi, quindi subito dopo cerchiamo di sbarrare i vari tratti.“io vado in su e chiudo i primi passi, tu incomincia più giù. Stai attento si scivola, se cadi nell’acqua ti fai un bel bagno”“prendi dei rami, là dell’erba, vedi c’è anche qualche tavola, dammi una mano, da solo non riesco a lavorare bene” Mario lavora e parla con affanno per la fatica e lo sforzo.Gli do una mano a prendere le tavole di legno, che bagnate pesano, raccolgo frettoloso dei rami, dell’erba e ritorno nell’acqua con un movimento veloce. Devo stare attento dove metto i piedi, ma, andando veloce, non vedo bene dove li poggio, perciò scivolo andando lungo disteso nella corrente dell’acqua facendola spruzzare verso tutte le direzioni. “attento! sto scivolando, togliti davanti, ti urto” neanche a dirlo, vado a corpo morto sul povero Mario, che stramazza disteso nell’acqua, il liquido si alza in mille schizzi.“maledizione stai attento” sfornando sbuffi e grugniti raccomanda di nuovo“devi stare attento!”“anziché lagnarti, dammi una mano ad alzarmi” annaspando anch’io nel flusso dell’acqua rispondo alla sua maledizione ” quest’acqua è maledettamente fredda”Di rimando “ma perché ti aspettavi di trovare acqua calda?” si rinfocola Mario.Non rispondo, ha ragione, le notti d’agosto in ogni modo sono fresche, e, nel caso l’acqua corrente è gelida.Finalmente, dopo vari tentativi, riusciamo a sbarrare il passaggio al liquido. Esausti, con gli occhi che non ci fanno vedere per il sudore che ci scende dalla fronte, ci fermiamo un po’ a riprendere fiato e dopo mormorando, lentamente andiamo verso i passaggi sbarrati, stagliati prima.L’acqua, intanto, ha già inondato i campi sottostanti, quindi, nel canale, è scesa di livello.Ci caliamo nuovamente nel canale e a piedi nudi ci avviciniamo alle stagliate.Con le braccia immerse sott’acqua s’incomincia tastando, e cercando di incontrare o di individuare con le mani qualche pesce nei pressi delle stagliate. ”mi raccomando lentamente con le mani”, avvisa Mario.“mi ha toccato un pesce!” grido improvviso”è schizzato via”.“stai attento forse viene verso te” do un avviso a Mario il quale è fermo poco più a valle.L’acqua è diminuita di molto. Improvvisa una trota salta fuori dal liquido e poi scappa veloce lontana da noi.“qui c’e una roggia bassa, forse c'è qualcosa” mi allungo con le braccia sott'acqua, sento la forma di un pesce, provo ad afferrarlo, mi scivola dalle mani. Ritento, il pesce si muove veloce, lo intercetto, nuovamente l’afferro, mi scivola, lo riprendo. Curvandomi più in basso scivolo, cado nella melma, mi rialzo. Il pesce scivoloso tenta ancora di fuggire, riesco a stringerlo nelle mani afferrandolo sulla testa, gli stringo le branchie, faccio presa e lo lancio fuori dall’acqua.Grido a Mario “l'ho preso! L'ho preso!” salto fuori dal canale, il pesce sembra sparito nel buio. Lo cerco. Per un paio di minuti non lo trovo, poi lo vedo al chiaro di luna che si dimena fra l’erba. Corre Mario in aiuto, in due a quattro mani, lo afferriamo e lo infiliamo nel paniere, che prestamente recuperiamo ci scambiamo un sorriso largo, divertito e vincente.Ritorniamo nell’acqua. Infreddoliti, continuiamo a cercare.“Mario, siamo proprio due bei tipi, potevamo portarci un retino ci saremmo risparmiati la cerca con le mani”.“zitto! Non ti muovere” mi ferma il discorso. “c’è un’anguilla! La spingo verso di te, dove sei tu c’è meno acqua”. Si muove con le braccia allargate, scalcia nell’acqua per costringerla a dirigersi verso la mia zona. Io intanto ho toccata un’altra trota, sono impegnato a prenderla, ma questa di corsa scende verso il mio amico. “Attento alla trota che scende verso di te” urlo correndogli dietro. Ritocco la trota, tento nuovamente di prenderla, su un sasso perdo l’equilibrio, vado lungo disteso verso i piedi del mio amico che sbilanciato cade con un tonfo pesante sopra il mio corpo.“perchè non stai attento pezzo di un fesso, ti avevo strillato che l’anguilla saliva dovevi stare fermo”.“é la trota che è scappata” “la dovevi lasciar andare”“ma l’ho toccata, sembrava lenta, quasi ferma potevo acciuffarla, per la miseria, se tu non mi sbarravi la strada la prendevo, non hai visto che stavo correndo per prenderla?”“io avevo gridato per l’anguilla, dovevi lasciar andare la trota”“ho udito, ho capito, ma la trota è bella, enorme come facevo a lasciarla andare? “intanto abbiamo perso la trota e l’anguilla” strilla arrabbiatoCi rimettiamo in piedi gocciolando acqua da tutte le parti del corpo, prendiamo fiato dopo le concitate fasi precedenti e ci mettiamo nuovamente a rimestare nell’acqua alla luce della luna che ancora rimaneva alta nel cielo.Dopo un paio di minuti “eccola sta davanti ai miei piedi. Non ti muovere, fermo, neanche un passo devi fare”Smanetta nell’acqua, io aspetto che l‘anguilla si diriga verso la mia parte. La vedo muoversi lentamente, sinuosa, ondeggiante non sguscia via veloce, sembra che si voglia divertire. D’improvviso schizza, non la vediamo più. Riprendiamo con affanno mugugnando la cerca, la ritroviamo in una pozza poco profonda; lentamente ci avviciniamo pare che questa volta non ci abbia visto. Confusamente, entrambi, ci gettiamo con le mani protese verso di lei, che con vivace movimento ci lascia a mani vuote e con il sedere bagnato nell’acqua perché perso l'equilibrio ricadiamo pesantemente nel liquido.“quella disgraziata, ci prende in giro. Io non mi muovo di qui se non la prendo” s’infuria Mario.“io sono stanco bagnato mi fermo un po’” Lui Mario testardo, da vero calabrese continua la cerca. Va avanti e indietro e finalmente la rivede in una rocchia dietro un sasso nella melma torbida. Quatto quatto, si avvicina allunga le mani e alla prima mossa lenta segue un tuffo veloce sul povero pesce che non avendo possibilità di muoversi per la poca acqua cade nelle mani del mio amico.“l’ho presa, l’ho presa!” urla esaltato “porta il cestino”.“sali tu” in modo che essa non caschi nell’acqua e scappi nuovamente”.Viene fuori dal canale, mentre l’anguilla si contorce cercando di liberarsi dalla presa che la serra fra le due mani.“apri, apri il cestino” intanto strilla. Scopro il cestino e lui ficca la preda all’interno ponendoci sopra un tovagliolo a coperta, ponendo poi il cestino a terra sull’erba.Ci guardiamo felici con un largo sorriso, dimentichi già delle pene passate. Abbiamo però fatto male i conti. L’anguilla che, come si sa, non facilmente sì da vinta, e non subito muore per mancanza d’aria, riesce a risalire dal cesto sgusciando scivolosa da sotto lo straccio cercando di tornare verso il fiume alla perduta libertà.“là! là, la cosa”“Cosa?” “l’anguilla! l’anguilla scappa!” Ci buttiamo sopra il povero pesce bloccandolo con le quattro mani, rotoliamo sulla terra e nell’erba bagnata; quando ci alziamo abbiamo l’anguilla nelle mani, ma siamo ricoperti di fango, terreno ed erba.Rimettiamo l’anguilla nel paniere con la soddisfazione di chi ha compiuto una grande impresa difficile.Ormai sono già le quattro del mattino. Siamo stanchi. Ci lasciamo cadere al suolo. Siamo bagnati sino all’interno delle ossa. Sfiniti. Io sono solo capace di mantenere gli occhi aperti verso il cielo a rimirare le stelle, la luna che ormai va lontana.Mi accorgo che, anche Mario, come me, ha il naso all’insù e gli occhi fissi verso l’immenso cielo stellato. Restiamo fermi un quarto d’ora a scrutare il firmamento, estasiati dalla bellezza di questo panorama notturno, indicandoci le stelle maggiori, la galassia, i luccicori lontani che apparivano e sparivano come fate morgane.Ormai il freddo diventa più intenso perciò ci alziamo.“presto vestiamoci che tra poco qualche contadino verrà quaggiù per irrigare gli orti, ci conviene a quel tempo essere lontani” Dice Mario con voce bassa, come se già gli ortolani fossero sul posto.Ci togliamo le mutande zuppe d’acqua, infiliamo le gambe nei calzoni, ci mettiamo le maglie, le scarpe e siamo pronti per partire anche se ancora intirizziti e goffi nel movimento per l’aria pungente e per l’umidità che le membra hanno accumulato.Una volta rivestito, preso il paniere, voltando la schiena al canale, incomincio il cammino per il ritorno verso Cassano. Passo sopra il piccolo ponte sul fiume Ejano, l’attraverso, e già sto di la della curva che s’immetteva sulla salita che porta alla stazione di Civita, vedo Mario che cammina lentamente. Mi fermo e mi siedo sul muretto che delimita la carreggiata nell’attesa dell’amico, sono un po’ pensieroso.Come giunge anche Mario si siede, in silenzio.D’improvviso, come se mi la voce viene da lontano, mormoro” che bella pescata!”“che cosa vuoi dire?” mi fa eco l’amico.“questa trota, l’anguilla sono state proprio sfortunate”.“come sfortunate? Siamo stati noi scalognati a pescare solo questi due pesci, potevamo prenderne di più se stavamo più accorti”.“com’è andata è andata, forse colpa nostra, perché poco accorti o, forse perchè non tanto capaci, sta di fatto che il paniere è leggero e solo due pesci vi stanno dentro, ” Continuando riprendo “mi sembra che ancora si muovono. Mi, mi fanno proprio pena. Devono morire senz’aria, che morte atroce, crudele”.“fammi dare un’occhiata “ e Mario lentamente scoperchia il cestino. I due poveri pesci stanno sul fondo, quasi immobili solo la bocca che s’apre e chiude denuncia il loro stare in vita.Ci guardiamo in silenzio ognuno dubbioso sul fare.Preso coraggio e, rivolto a Mario, con voce ferma dico “ io, adesso faccio una cosa, prendo questa trota e l’anguilla, scendo giù verso l’acqua che scorre sotto il ponte, e li vado a rimettere nel fiume lasciandoli liberi”“va bene, ci stò, scendo con te “Scavalchiamo il muretto scendiamo verso l’acqua, apriamo il cesto io prendo la trota lui l’anguilla e delicatamente le poniamo nel liquido che scende a valle. I due pesci, come prendono contatto con l’acqua, schizzano veloci lontani da noi mettendosi al sicuro in una rocchia vicina, scomparendo alla vista.Risaliti sul ponte ci guardiamo in faccia e ci mettiamo a ridere e, sorridendo, riprendiamo la strada per Cassano fischiettando e canticchiando, dove arriviamo intorno alle otto del mattino, stanchi in più parti feriti ed escoriati ma felici della magnifica spensierata nottata passata con le mani a pescare. Miani Michele 09.03.09
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